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I GRANDI FONDI SCOPRONO IL BIOTECH ITALIANO

 

Il settore è passato dal 4 al 16% del totale del mercato farmaceutico in 15 anni

Milano Scommettere sul biotech ? E’ un affare. Il mondo dei farmaci innovativi che fanno leva sulla genetica è sempre più attrattivo per gli investimenti. Negli Usa le vendite di prodotti biotecnologici rispetto al fatturato complessivo del settore farmaceutico sono salite dal 4% del 1993 al 16 del 2007, con entrate pari a 64,5 miliardi di dollari, e si prevede un tasso annuo di crescita tra il 2007 e il 2014 dell’11,6%. Il Nord America è in pole-position, con i quattro quinti dei ricavi, ma anche in Europa il settore è in espansione, con il 15,6% della spesa totale (dati Frost&Sullivan). Il biotech fa da precursore nello sviluppo di farmaci per la cura di patologie rare o per cui non è stata trovata una cura efficace (2/3 delle 35mila malattie conosciute), e supera ormai l’industria farmaceutica tradizionale per numero di nuove autorizzazioni. In questo settore, l’Italia può dire la sua, come ci annunciano due dei gestori del Bb Biotech, uno svizzero e l’altra italiana, Christian Lach e Maria Grazia Alderuccio: «Abbiamo già in portafoglio la Bioxell, azienda nata da uno spin-off di un laboratorio della Roche di Milano impegnata sullo sviluppo di farmaci per il trattamento delle patologie urologiche e infiammatorie sviluppando analoghi della vitamina D3 biologicamente attivi. Guardiamo con attenzione al mercato italiano, dove ci sono molte realtà interessanti». La scommessa di Bb Biotech parte da lontano. E’ una società d’investimenti fondata a Sciaffusa in Svizzera nel novembre 1993, uno dei maggiori investitori nel settore con un titoli in portafoglio per 1,2 miliardi di e u r o . L e azioni del Bb Biotech, il primo fondo special i z z a t o i n questo settore d’Europa , sono quotate alla Borsa Svizzera, al Prime Standard in Germania e al segmento Star in Italia. E a Milano abbiamo incontrato i due gestori. I quali spiegano: «Per scegliere gli investimenti ci basiamo sulla consulenza di alcuni membri eccellenti del nostro consiglio d’amministrazione, a partire dal biologo David Baltimore, premio Nobel per la medicina nel ’75 (insieme a Renato Dulbecco e Howard Temin) per le sue ricerche sull’interazione tra i virus del cancro ( oncovirus ) ed il materiale genetico delle cellule e scopritore dell’enzima trascriptasi inversa, proteina capace di ricostruire il Dna. Altri nomi illustri di illustri accademici sono Clive Meanwell, che è il nostro presidente, e dello specialista in farmacoeconomia Thomas Szucs. Ciò permette una visione a 360 gradi del settore, dal punto di vista manageriale, scientifico ed economico». Inizialmente focalizzato sugli Usa, Bb Biotech investe oggi sulle società europee per il 35% del portafoglio. Il problema del biotech è legato alla volatilità e all’incertezza dei risultati: «L’andamento del mercato è correlato con le notizie e le aspettative rispetto a un farmaco nelle sue fasi di sperimentazione. Viceversa, il farmaceutico tradizionale è considerato difensivo, non legato all’andamento congiunturale, ma non è così come insegna l’esempio del Vytorin di Merck, farmaco tradizionale per il colesterolo che ha incontrato dei limiti dalla società di cardiologia americana e poi dalla Fda. Quest’ultima, è sempre più restrittiva, soprattutto per quanto riguarda gli effetti collaterali controllati dal programma Risk evaluation and management strategies» . Sul biotech l’attenzione della Fda è massima: «L’idea è controllare l’accesso dei pazienti e lim

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