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La procura di Brescia ha chiesto l’archiviazione per Giuseppe Conte e Roberto Speranza dopo aver indagato sulla gestione della pandemia

Spetta ora al Tribunale dei Ministri decidere se accogliere la richiesta di archiviare o rinviare a giudizio l’ex premier e l’ex ministro della Salute per la gestione della prima ondata di Covid nella Bergamasca

La procura di Brescia ha chiesto al tribunale dei ministri di archiviare le posizioni dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza, che erano indagati per omicidio colposo ed epidemia colposa in un’inchiesta sulla gestione della pandemia da coronavirus.

Il Post – 29 maggio 2023

L’inchiesta si basa principalmente sulla mancata istituzione della cosiddetta “zona rossa” nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro e sull’applicazione del piano pandemico nazionale, un documento che dovrebbe dare indicazioni sulle misure di sicurezza da introdurre in caso di pandemia. L’indagine era stata avviata dalla procura di Bergamo, ma il fascicolo era stato successivamente trasmesso a quella di Brescia, competente per materia e territorio.

A dover eventualmente accogliere la richiesta di archiviazione della procura è il tribunale dei ministri di Brescia, ovvero un organo speciale presente all’interno di ogni Corte d’Appello che ha competenza sui reati commessi dal presidente del Consiglio e dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni. Se il tribunale dei ministri accoglierà la richiesta di archiviazione, Conte e Speranza saranno definitivamente scagionati; se invece la respingerà, dovrà chiedere al parlamento l’autorizzazione a procedere, e solo in caso di accoglimento di quest’ultima richiesta comincerebbe il processo.


Nota: Il Tribunale dei ministri è un collegio composto da tre membri effettivi e tre supplenti, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio nei tribunali del distretto che abbiano da almeno cinque anni la qualifica di magistrato di tribunale o abbiano qualifica superiore.

Il nuovo articolo 96 della Costituzione, in particolare, prevede che “il presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati”. In precedenza, invece, a giudicare i membri del governo era la Corte costituzionale (come previsto dagli articoli 134 e 135), previa autorizzazione del parlamento in seduta comune (ovvero non delle singole camere ma di entrambe, riunite per l’occasione in un unico organismo).

La procedura funziona in questo modo: quando si indaga su presunti reati ministeriali, gli atti devono essere trasmessi al tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello (la competenza di quest’ultima è infatti delimitata sul territorio nazionale, che è diviso in distretti, ciascuno dei quali ha, appunto, un capoluogo). Le indagini preliminari spettano però proprio al tribunale dei ministri, che riceve il fascicolo dalla procura entro quindici giorni.

Come disciplinato dall’articolo 5 della legge costituzionale 1/1989, infatti, “l’autorizzazione prevista dall’articolo 96 della Costituzione spetta alla Camera cui appartengono le persone nei cui confronti si deve procedere” (o al Senato in caso di persone non elette, i cosiddetti “tecnici”). Ricevuti gli atti, il tribunale dei ministri entro novanta giorni, compiute indagini preliminari e sentito il pubblico ministero, può decidere l’archiviazione – nel qual caso il decreto non è impugnabile

Nel caso in cui l’autorizzazione venga concessa la norma prevede che il procedimento debba tornare al tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello. Il tribunale dei ministri, però, non ha più competenza in materia: si può dire che il membro del governo torna in tale fase ad essere “un cittadino qualunque”. L’iter, infatti, segue a quel punto il percorso canonico dettato dal codice di procedura penale.

(Fonte Lifegate)


Nel registro degli indagati (19 in tutto) della procura di Bergamo erano finiti anche il presidente della Lombardia Attilio Fontana e il suo ex assessore al Welfare, Giulio Gallera, rimasto fuori dal Consiglio regionale nell’ultima tornata elettorale. E ancora il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro; il coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo; l’allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli. In totale 19 persone tra cui anche dirigenti sanitari e funzionari regionali. Tra le contestazioni, a vario titolo, c’erano le tardive richieste di mascherine e guanti, la zona rossa non istituita in Val Seriana e “lo scenario più catastrofico” non considerato. Oltre all’epidemia colposa contestato anche l’omicidio colposo e il contagio dei sanitari, le bugie sulla sanificazione del pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo.

 

Redazione Fedaisf

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