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Prima assemblea nazionale di tutte le professioni sanitarie e sociali.

FNOMCeO: “La sanità si evolve e lo deve fare per tutti i cittadini in modo assolutamente universalistico e uguale per tutti. E non lo farà mai più senza di noi”

FNOMCeO – 23 febbraio 2019

Sei richieste al Governo e alle Regioni: intensificare la collaborazione con le professioni sanitarie e sociali e i loro enti esponenziali perché l’SSN garantisca effettivamente e uniformemente i diritti costituzionalmente tutelati dei cittadini; rispettati i principi costituzionali di uguaglianza, solidarietà, universalismo ed equità alla base del Servizio sanitario e ne confermano il carattere nazionale; elaborare un’analisi rischi/benefici delle proposte di autonomia differenziata presentate dalle Regioni per misurarne l’impatto sulla finanza pubblica e sulla tenuta di tutti i servizi sanitari regionali; adottare iniziative per parametrare il fabbisogno regionale standard anche in base alle carenze infrastrutturali, alle condizioni geomorfologiche e demografiche e alle condizioni di deprivazione e di povertà sociale; garantire il superamento delle differenze tra i diversi sistemi sanitari regionali anche mediante la definizione e implementazione di un Piano Nazionale di Azione per il contrasto alle diseguaglianze; scongiurare il rischio che sia pregiudicato il carattere nazionale del nostro Servizio sanitario.

Questi i principali contenuti del Manifesto che le professioni sanitarie e sociali, riunite per la prima volta in assemblea a Roma, mettono sul tavolo di Governo, parlamento e Regioni.

“Il Governo deve porre al centro dell’agenda politica il tema della tutela e unitarietà del Servizio sanitario nazionale – hanno affermato unanimi i presidenti delle 10 Federazione (30 professioni) presenti – e sollecitare le Regioni al rispetto dell’art. 2 della Costituzione che ricorda alle Istituzioni i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale su cui deve fondarsi la vita del Paese, dell’art. 3 (eguaglianza dei cittadini) e dell’art. 32 della Costituzione (tutela della salute)”.

Le professioni della salute chiedono alcuni impegni precisi a Governo e Regioni: l’attivazione di un tavolo di lavoro permanente dove potersi regolarmente confrontare sulle politiche sanitarie, anche con la partecipazione dei rappresentanti dei cittadini; la sottoscrizione con tutte le professioni sanitarie e sociali e l’attivazione in tutte le Regioni e secondo schemi omogenei condivisi dei recenti protocolli voluti dalle Regioni per instaurare un rapporto diretto con i professionisti e garantire un servizio sanitario universalistico e omogeneo; che i cittadini si facciano parte attiva ponendo con iniziative per garantire tutti gli aspetti sottolineati nel manifesto.

Manifesto dell’alleanza tra professionisti della salute per un nuovo SSN


La sintesi degli interventi

“L’infermiere – ha detto la presidente FNOPI Barbara Mangiacavalli – è il più vicino al paziente che segue 24 ore su 24  in ricovero e a domicilio. Ma non allo stesso modo in tutte le Regioni. Due dati per comprendere: il rapporto infermieri pazienti che studi internazionali indicano come ottimale per abbattere la mortalità del 20% è di 1:6. In Italia abbiamo Regioni che sono a 1:17 (la Campania ad esempio) e altre a 1:8 come il Friuli-Venezia Giulia. La carenza di infermieri, soprattutto sul territorio e quindi accanto ai più fragili e bisognosi di assistenza continua è di circa 50-53mila unità, ma ci sono Regioni dove i numeri sono a posto e Regioni dove l’assenza di organici è pesante e mette l’assistenza a rischio (in Campania sono circa il 48% in meno di quelli necessari, sono il 55% in meno in Calabria e il 56% in Sicilia). L’Italia si deve uniformare in questo, non dividere ulteriormente”.

“Occorre mettere in primo piano – ha detto il presidente FNOMCeO Filippo Anelli – gli obiettivi di salute tra i quali la prevenzione, favorire la partecipazione dei cittadini e mettere i professionisti nelle migliori condizioni di perseguirli. Il Ssn dopo 40 anni dalla sua istituzione rappresenta uno strumento in grado di garantire a tutti i cittadini elevati livelli di tutela della salute individuale e pubblica, con indicatori di salute tra i migliori al mondo. Vi sono, certamente, ambiti di miglioramento evidenti e rispetto ai quali occorrono interventi efficaci, economici e strutturali, per scongiurare la sua compromissione e per questo è necessaria una riforma che possa restituire fiducia agli operatori sanitari, riconoscendo loro maggiore responsabilità attraverso la definizione di un nuovo ruolo capace di garantire la salute dei cittadini e allo stesso tempo di farsi carico della sostenibilità del sistema”.

“In Sanità si registra un paradosso: da una parte c’è l’esigenza di cambiare radicalmente il modello organizzativo, dall’altra una fortissima resistenza a che questo cambiamento avvenga”, sottolinea il presidente Alessandro Beux, per spiegare la posizione della FNO TSRM e PSTRP. “Per questo sarebbe necessario un cambiamento radicale dell’organizzazione complessiva del sistema socio-sanitario, da quello attuale, prevalentemente improntato sul modello ospedaliero per la gestione delle acuzie, a un modello fortemente basato sulla territorialità e sulla domiciliarizzazione delle cure. La nostra proposta si basa sul metodo scientifico: non diamo per scontato che un modello organizzativo alternativo all’attuale sia migliore, ma sottoponiamolo a sperimentazione, dandoci un tempo per verificarne la bontà, sulla base di indicatori di sicurezza, efficacia e di sostenibilità condivisi”.

“Nella società contemporanea si parla sempre più spesso di ‘salute’, i ritmi di vita frenetici, lo stress e il mutamento di alcuni equilibri sociali hanno fatto in modo che l’attenzione nei confronti della salute intesa come benessere diventasse un tema centrale. Bisogna partire – afferma Fulvio Giardina, presidente CNOP – dal presupposto che la salute non è un’entità statica, ma è una condizione che trova il suo perfetto equilibrio fisico, funzionale e psichico attraverso l’integrazione e l’adattamento dell’individuo nel contesto sociale in cui vive ed opera. Noi italiani abbiamo un fiore all’occhiello ed è nostro dovere preservarlo e attualizzarlo laddove sia necessario, senza mai perdere di vista la centralità del paziente. Il principio universalistico e solidaristico è alla base di una società democratica e fortemente incentrata sul benessere psichico e fisico dei propri cittadini”.

“Il momento è complicato, per una serie di concause – ha detto il presidente FOFI, Andrea Mandelli –  tra le quali una interlocuzione con il Governo diventata più difficile che in passato, ma i farmacisti e la farmacia hanno storia, risorse e capacità per superarlo con successo, grazie anche al percorso compiuto nell’ultimo decennio. L’importante è non farsi prendere dallo sconforto, puntare sulla specificità e la forza della professione (a partire dalla sua capillarità sul territorio) e rimanere uniti guardando nella stessa direzione e agli stessi obiettivi. La farmacia è una conquista formidabile per la tutela della salute ma anche per la coesione sociale. Va garantita la sostenibilità, con un riassetto complessivo capace di rispondere alla sfida della cronicità. Un riassetto che però non sarà possibile se di questa revisione il farmacista, di comunità e del Servizio sanitario, non sarà uno degli elementi portanti”.

“Il Regionalismo differenziato in sanità – è il giudizio di Vincenzo D’Anna, presidente dell’ONB – è in palese controtendenza con le decisioni di questo Governo che vorrebbero tendere a ridurre le differenze. Con un federalismo più spinto in sanità quanto potrà derivare dal reddito di cittadinanza sarà scavalcato dal ben più consistente aumento delle differenze derivante dalla già iniqua suddivisione del fondo sanitario così come oggi viene assegnato alle Regioni. Il Servizio sanitario Nazionale sarà definitivamente cancellato in palese violazione dell’art. 32 della Costituzione e gli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie si aggraveranno. In questo senso e per questi rischi, i professionisti della salute possono contribuire in modo determinante a ricercare e costruire soluzioni per una sanità equa e sostenibile”.

“Parliamo di task shifting in medicina veterinaria. Cosa sta succedendo? Se realizzato, quali garanzie di sicurezza verrebbero meno? Quale rapporto tra professione medico-veterinaria, sicurezza alimentare e politica? La sanità pubblica – afferma Gaetano Penocchio, presidente FNOVI – è definanziata, alle soglie della dismissione e si avvia verso la privatizzazione. Non è possibile rendersi conto di questo e accettarlo senza sussulti. Per questo siamo vicini a tutti coloro che in condizioni di enormi difficoltà garantiscono salute, nonostante tutto. I posti della dirigenza veterinaria sono congelati e la stessa si è ridotta del 10% negli ultimi 5 anni. Si vuole garantire la sanità animale, l’igiene degli allevamenti e delle loro produzioni, la sicurezza degli alimenti senza risorse: urgente recuperare presupposti che tengano conto dei valori che sottendono alla esistenza stessa del Ssn”.

“Nonostante le buone performance del nostro Servizio sanitario nazionale – afferma Maria Vicario, presidente FNOPO – , vi sono certamente ambiti di miglioramento evidenti e rispetto ai quali occorrono interventi efficaci, di natura economica e strutturale, per scongiurare la sua compromissione. Sulla base dell’analisi dei dati programma nazionale esiti (PNE), è possibile rilevare – prosegue – come nascere in una Regione rispetto ad un’altra faccia la differenza in termini di esiti per la madre e il suo bambino. La Fopo ritiene sia ancora molto il lavoro da fare per garantire maggiore equità di accesso a servizi di provata efficacia su tutto il territorio nazionale, a prescindere dall’area di residenza e il suo ruolo, in una nazione che eroghi prestazioni uguali per tutti, è di sostegno nell’organizzazione dei servizi di assistenza alla donna/coppia”.

“La tutela della salute – dice Nausicaa Orlandi, presidente FNCF – è parte integrante del DNA di chimici e fisici. Per noi il 2018 è stato un momento di forte cambiamento che con la Legge Lorenzin, ha visto la conferma della professione sanitaria di chimico e fisico. Professioni caratterizzate da grande competenza tecnica che vedono riconosciuta per gli impatti e i risvolti fondamentali per garantire la salute della popolazione e dell’ambiente. Fncf chiede che nelle prossime iniziative politiche e parlamentari in materia di prevenzione, ambiente e salute  il sistema salvaguardi tutte le iniziative che vanno nel senso della prevenzione. Su questo continueremo a dare il nostro contributo partecipando a tavoli di lavoro multidisciplinari. chimici e fisici sono in prima linea per mettere a disposizione le proprie competenze ed essere parte attiva in un Ssn che dia sempre maggiori garanzie al cittadino”.

Un sistema equo – ha spiegato Gianmario Gazzi, presidente CNOAS – non si basa su risposte standard, parcellizzate e uguali per tutti e a tutte le latitudini. Chiediamo iniziative per parametrare il fabbisogno regionale standard anche in base alle carenze infrastrutturali, alle condizioni geomorfologiche e demografiche, nonché alle condizioni di deprivazione e di povertà sociale. Serve un Piano nazionale di azione per il contrasto alle diseguaglianze nell’accesso al diritto alla salute, per rilanciare la prevenzione e la promozione della salute e l’integrazione sociosanitaria, che ascolti la voce dei professionisti che vivono a contatto con le persone, nei territori, testimoni privilegiati delle vulnerabilità delle comunità, ma anche delle potenzialità presenti”.

La sintesi degli interventi degli esperti

Il quadro in cui si muover la richiesta di regionalismo differenziato delle Regioni è caratterizzato, secondo quanto illustrato all’assemblea del 23 febbraio delle professioni sanitarie e sociali da Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva, di estrema disomogeneità nell’offerta di servizi e cure.

Situazione che può essere facilmente compresa attraverso alcuni dei dati che emergono da recenti ricerche condotte da Cittadinanzattiva.

Ad esempio, ci sono sigle e modelli diversi per definire le unità che si occupano di cure territoriali, offerte di servizi disomogenee, assistenza domiciliare non per tutti e a rischio sotto il profilo della qualità e quantità. Per fare alcuni esempi, i Centri diurni per la salute mentale sono in media 29,8 per Regione (sul campione intervistato) ma si va dai 3 del Molise ai 69 della Toscana passando per i 21 di Puglia e Piemonte e i 28 dell’Emilia Romagna. Idem per i Centri per l’Alzheimer che vanno dall’1 del Molise ai 109 del Veneto con 4 in Campania, 8 in Puglia e 11 in Umbria. E il 40% delle Regioni intervistate è sprovvisto di Centri diurni per persone con autismo.

Anche i servizi di emergenza e urgenza soffrono di questa enorme differenziazione. Riportiamo alcuni dei dati più significativi frutto di una indagine condotta da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato con la SIMEU. La situazione appare ancora oggi molto disomogenea fra strutture del Nord del Centro e del sud soprattutto come conseguenza di un’organizzazione dei servizi di emergenza non ancora standardizzata sul territorio nazionale.

In questo quadro di diversità ci sono poi, secondo quanto affermato da Ketty Vaccaro, responsabile area Salute e Welfare della Fondazione Censis, aspetti che caratterizzano l’offerta di servizi.

Il primo è il costante arretramento della spesa pubblica che nel periodo 2009-2017 ha subito una variazione percentuale del -1,9% contro una crescita di quella privata del +1,6 per cento.

Controprova di questo andamento è la crescita della compartecipazione: nel 2017, la spesa per compartecipazione delle 7 Regioni in piano di rientro rappresenta il 54,5% del totale.

Le diversità regionali poi sono sottolineate dallo stesso rapporto ufficiale sui livelli essenziali di assistenza che nel 2016 assegna alle Regioni punteggi variabili tra il massimo raggiunto dal Veneto di 209, al minimo di 124 punti della Campania che con la Calabria sono le due Regioni considerate “inadempienti”.

La variabilità maggiore gli stessi cittadini la riscontrano nei servizi territoriali. Da un’indagine Censis del 2017, infatti, la percentuale maggiore di insoddisfatti di questi servizi è nel Sud e nelle Isole dove è del 59,4% contro una percentuale di meno della metà del Nord Est che si ferma al 20,6 per cento.

Ma la disuguaglianza più grande che salta agli occhi è quella della speranza di vita alla nascita che in Trentino raggiunge gli 86 anni per le donne e gli 81,8 per gli uomini, mentre si ferma in Campania a 83,7 anni per le donne e 79,2 per gli uomini: circa tre anni di differenza quindi legati alla geografia dei servizi.

Rispetto al regionalismo differenziato, basandosi sui dati rilevati (dalla speranza di vita al Pil, dalla spesa al finanziamento e/o definanziamento equitativo), Federico Spandonaro, Università degli studi di Roma Tor Vergata, Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità CREA, sottolinea che si tratta di una previsione delle norme (la stessa Costituzione), ma anche che il regionalismo «non differenziato» ha finora funzionato.  Ben venga se aumenta l’efficienza, sottolinea Spandonaro, sottintendendo la necessità di una verifica a monte sui suoi effetti, ma è necessario chiarire bene se rispetto al regionalismo sia più opportuno differenziarlo o, forse, potenziare l’attuale.

I rischi del regionalismo differenziato puro, secondo Spandonaro sono quattro: debolezza dei Lea;   carenza di regole sulla dinamica dei Lea;  rischi di competizione fra Regioni; e, ultimo ma non per importanza, la sussidiarietà, che nel caso ogni Regioni faccia da sé rischia di perdere di significato.

Estratto da FNOPI

Redazione Fedaisf

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