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Rapporto Censis. “La Società Irrazionale”: Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni) il covid non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile. E poi: il 5,8% è convinto che la terra sia piatta

L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni) il covid non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile. E poi: il 5,8% è convinto che la terra è piatta, per il 10% l’uomo non è mai sbarcato sulla luna, per il 19,9% il 5g è uno strumento sofisticato per controllare le persone. Perché sta succedendo? È la spia di qualcosa di più profondo: le aspettative soggettive tradite provocano la fuga nel pensiero magico. Siamo nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali. Per l’81% degli italiani oggi è molto difficile per un giovane ottenere il riconoscimento delle risorse profuse nello studio. Il rischio di un rimbalzo nella scarsità: ecco i fattori di freno alla ripresa economica e le incognite che pesano sul risveglio dei consumi.

Censis – 3 dicembre 2021 – Roma

Gli italiani e l’irrazionale. Accanto alla maggioranza ragionevole e saggia si leva un’onda di irrazionalità. È un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste. Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici. Si osserva una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste. Dalle tecno-fobie: il 19,9% degli italiani considera il 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone. Al negazionismo storico-scientifico: il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna. La teoria cospirazionistica del «gran rimpiazzamento» ha contagiato il 39,9% degli italiani, certi del pericolo della sostituzione etnica: identità e cultura nazionali spariranno a causa dell’arrivo degli immigrati, portatori di una demografia dinamica rispetto agli italiani che non fanno più figli, e tutto ciò accade per interesse e volontà di presunte opache élite globaliste. L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale, sia le posizioni scettiche individuali, sia i movimenti di protesta che quest’anno hanno infiammato le piazze, e si ritaglia uno spazio non modesto nel discorso pubblico, conquistando i vertici dei trending topic nei social network, scalando le classifiche di vendita dei libri, occupando le ribalte televisive.

Nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali. L’irrazionale che oggi si manifesta nella nostra società non è semplicemente una distorsione legata alla pandemia, ma ha radici socio-economiche profonde, seguendo una parabola che va dal rancore al sovranismo psichico, e che ora evolve diventando il gran rifiuto del discorso razionale, cioè degli strumenti con cui in passato abbiamo costruito il progresso e il nostro benessere: la scienza, la medicina, i farmaci, le innovazioni tecnologiche. Ciò dipende dal fatto che siamo entrati nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali. Questo determina un circolo vizioso: bassa crescita economica, quindi ridotti ritorni in termini di gettito fiscale, conseguentemente l’innesco della spirale del debito pubblico, una diffusa insoddisfazione sociale e la ricusazione del paradigma razionale. La fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte, pur essendo legittime in quanto alimentate dalle stesse promesse razionali. Infatti, l’81% degli italiani ritiene che oggi è molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento di tempo, energie e risorse profuso nello studio. Il 35,5% è convinto che non conviene impegnarsi per laurearsi, conseguire master e specializzazioni, per poi ritrovarsi invariabilmente con guadagni minimi e rari attestati di riconoscimento. Per due terzi (il 66,2%) nel nostro Paese si viveva meglio in passato: è il segno di una corsa percepita verso il basso. Per il 51,2%, malgrado il robusto rimbalzo del Pil di quest’anno, non torneremo più alla crescita economica e al benessere del passato. Il Pil dell’Italia era cresciuto complessivamente del 45,2% in termini reali nel decennio degli anni ’70, del 26,9% negli anni ’80, del 17,3% negli anni ’90, poi del 3,2% nel primo decennio del nuovo millennio e dello 0,9% nel decennio pre-pandemia, prima di crollare dell’8,9% nel 2020. Negli ultimi trent’anni di globalizzazione, tra il 1990 e oggi, l’Italia è l’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite: -2,9% in termini reali rispetto al +276,3% della Lituania, il primo Paese in graduatoria, al +33,7% in Germania e al +31,1% in Francia. L’82,3% degli italiani pensa di meritare di più nel lavoro e il 65,2% nella propria vita in generale. Il 69,6% si dichiara molto inquieto pensando al futuro, e il dato sale al 70,8% tra i giovani.

Il rischio di erosione del patrimonio delle famiglie. Solo il 15,2% degli italiani ritiene che dopo la pandemia la propria situazione economica sarà migliore. Per la maggioranza (il 56,4%) resterà uguale e per un consistente 28,4% peggiorerà. La ricchezza complessiva delle famiglie è pari a 9.939 miliardi di euro. Il patrimonio in beni reali ammonta a 6.100 miliardi (il 61,4% del totale), depositi e strumenti finanziari valgono 4.806 miliardi (al netto delle passività finanziarie, pari a 967 miliardi, corrispondono al 38,6% della ricchezza totale). Ma nell’ultimo decennio (2010-2020) il conto patrimoniale degli italiani si è ridotto del 5,3% in termini reali, come esito della caduta del valore dei beni reali (-17,0%), non compensata dalla crescita delle attività finanziarie (+16,2%). Gli ultimi dieci anni segnano quindi una netta discontinuità rispetto al passato: si è interrotta la corsa verso l’alto delle attività reali che proseguiva spedita dagli anni ’80. La riduzione del patrimonio, esito della diminuzione del reddito lordo delle famiglie (-3,8% in termini reali nel decennio), mostra come si sia indebolita la capacità degli italiani di formare nuova ricchezza.

Il rimbalzo nella scarsità. Ci sono fattori di freno che congiurano contro la ripresa economica. Tutti i rischi di natura socio-economica che avevamo paventato durante la pandemia (il crollo dei consumi, la chiusura delle imprese, i fallimenti, i licenziamenti, la povertà diffusa) vengono oggi rimpiazzati dalla paura di non essere in grado di alimentare la ripresa, di inciampare in vecchi ostacoli mai rimossi o in altri che si parano innanzi all’improvviso, tanto più insidiosi quanto più la nostra rincorsa si dimostrerà veloce. A cominciare dal rischio di una fiammata inflazionistica. A ottobre 2021 il rialzo dei prezzi alla produzione nell’industria è stato consistente: +20,4% su base annua. Si registra un +80,5% per l’energia, +13,3% per la chimica, +10,1% per la manifattura nel complesso, +4,5% per le costruzioni.

Le incognite che pesano sul risveglio dei consumi dopo la depressione della domanda interna. Il forte recupero dei consumi delle famiglie (+14,4% tra il secondo trimestre del 2020 e il secondo del 2021) è figlio dell’allentamento delle misure di contenimento del contagio. Si prevede una crescita dei consumi del 5,2% su base annua, inferiore alla crescita del Pil e inadeguata a ricollocare il Paese sui livelli di spesa delle famiglie del 2019. In Italia il tasso medio annuo di crescita reale dei consumi si è progressivamente ridotto nel tempo, passando dal +3,9% degli anni ’70 al +2,5% degli anni ’80, al +1,7% degli anni ’90. Nel primo decennio del nuovo millennio si è attestato su un +0,2% e poi l’anno della pandemia ha trascinato in negativo la media decennale: -1,2%.

Complotto contro il lavoro: il gioco al ribasso della domanda e dell’offerta. Quasi un terzo degli occupati possiede al massimo la licenza media. Sono 6,5 milioni nella classe di età 15-64 anni, di cui 500.000 non hanno titoli di studio o al massimo hanno conseguito la licenza elementare. Anche tra i poco meno di 5 milioni di occupati di 15-34 anni quasi un milione ha conseguito al massimo la licenza media (il 19,2% del totale), 2.659.000 hanno un diploma (54,2%) e 1.304.000 sono laureati (26,6%). Considerando gli occupati con una età di 15-64 anni, la quota dei diplomati scende al 46,7% e quella dei laureati al 24,0%. Un’occupazione povera di capitale umano, una disoccupazione che coinvolge anche un numero rilevante di laureati e offerte di lavoro non orientate a inserire persone con livelli di istruzione elevati indeboliscono la motivazione a fare investimenti nel capitale umano. L’83,8% degli italiani ritiene che l’impegno e i risultati conseguiti negli studi non mettono più al riparo i giovani dal rischio di dover restare disoccupati a lungo. L’80,8% degli italiani (soprattutto i giovani: l’87,4%) non riconoscono una correlazione diretta tra l’impegno nella formazione e la garanzia di avere un lavoro stabile e adeguatamente remunerato.

Il sottoutilizzo del capitale umano e la dissipazione delle competenze. L’Italia affronta la grande sfida della ripresa post-pandemia con una grave debolezza: la scarsità di risorse umane su cui fare leva. Il primo fattore critico è l’inverno demografico. Tra il 2015 e il 2020 si è verificata una contrazione del 16,8% delle nascite. Nel 2020 il numero di nati ogni 1.000 abitanti è sceso per la prima volta sotto la soglia dei 7 (6,8), il valore più basso di tutti i Paesi dell’Unione europea (media Ue: 9,1). La popolazione complessiva diminuisce anno dopo anno: 906.146 persone in meno tra il 2015 e il 2020. Secondo gli scenari di previsione, la popolazione attiva (15-64 anni), pari oggi al 63,8% del totale, scenderà al 60,9% nel 2030 e al 54,1% nel 2050. Secondo un’indagine del Censis, poco prima della pandemia il 33,1% dei capifamiglia con meno di 45 anni aveva l’intenzione di sposarsi o di convivere e il 29,8% aveva l’intenzione di fare un figlio. Ma soltanto il 26,5% ha continuato a progettare o ha effettivamente intrapreso un matrimonio o una convivenza stabile. In un caso su dieci il progetto originale è stato annullato. La grande maggioranza delle famiglie che stavano pensando di avere un figlio ha deciso di rinviare (55,3%) o di rinunciare definitivamente al progetto genitoriale (11,1%).

Ricchezza privata, povertà pubblica: la carenza di capitale sociale. Uno degli ambiti in cui le misure espansive si sono concretizzate in modo più evidente è l’edilizia privata. Al 30 settembre 2021 gli interventi edilizi in corso o conclusi incentivati con il super-bonus 110% sono stati più di 46.000, per un ammontare di investimenti ammessi a detrazione pari a quasi 7,5 miliardi di euro (di cui il 68,2% per lavori conclusi), con un onere per lo Stato di 8,2 miliardi. Il boom degli ultimi mesi è legato alla crescita della quota relativa ai condomini, che oggi è pari solo al 13,9% degli interventi (la percentuale era del 7,3% a febbraio), ma rappresenta poco meno della metà dell’ammontare complessivo (il 47,7%), dato che l’importo medio dei lavori nei condomini si attesta intorno ai 560.000 euro, contro i circa 100.000 euro degli interventi su singole unità immobiliari. Il rischio è che una parte dello stock di abitazioni private sia oggetto di un generoso intervento di riqualificazione energetica (nonché di valorizzazione economica) a carico della collettività, mentre molti asset pubblici (dalle scuole agli ospedali) permangano in uno stato di cattiva manutenzione.

Magazzino Italia: la logistica necessaria per la ripartenza. Nei primi sei mesi del 2020 il traffico veicolare leggero sulla rete autostradale è crollato del 43,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La contrazione è comunque elevata (-32,1%) anche considerando tutto il 2020 rispetto al 2019. La ripresa nel 2021 del traffico merci riflette l’andamento economico del Paese. Con il rilancio delle esportazioni sono cresciute le merci trasportate via mare (+5,3% nei primi sette mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2020) e via ferro (+7,8%), recuperano le merci spostate su gomma (-1,4%), mentre il traffico aereo di merci registra ancora un dato fortemente negativo (-64,1%).

I giovani alla prova della pandemia. La percezione che i gangli del potere decisionale siano in mano alle fasce anziane della popolazione è molto forte tra i giovani: è quanto emerge da un’indagine del Censis. Il 74,1% dei giovani di 18-34 anni ritiene che ci siano troppi anziani a occupare posizioni di potere nell’economia, nella società e nei media, enfatizzando una opinione comunque ampiamente condivisa da tutta la popolazione (65,8%). Il 54,3% dei 18-34enni (a fronte del 32,8% della popolazione complessiva) ritiene che si spendano troppe risorse pubbliche per gli anziani, anziché per i giovani. La precarietà lavorativa sperimentata nei percorsi di vita individuali influenza il clima di fiducia verso lo Stato e le istituzioni. Il 58% della popolazione italiana tende a non fidarsi del governo, ma tra i giovani adulti la percentuale sale al 66%. I Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, costituiscono una eclatante fragilità sociale del nostro Paese. Tra tutti gli Stati europei, l’Italia presenta il dato più elevato, che negli anni continua a aumentare. Nel 2020 erano 2,7 milioni, pari al 29,3% del totale della classe di età 20-34 anni: +5,1% rispetto all’anno precedente. Nel Mezzogiorno sono il 42,5%, quasi il doppio dei coetanei che vivono nelle regioni del Centro (24,9%) o nel Nord (19,9%).

Le donne alla prova della pandemia. A giugno 2021, nonostante il rimbalzo dell’economia del primo semestre, le donne occupate hanno continuato a diminuire: sono 9.448.000, alla fine del 2020 erano 9.516.000, nel 2019 erano 9.869.000. Durante la pandemia 421.000 donne hanno perso o non hanno trovato lavoro. Il tasso di attività femminile (la percentuale di donne in età lavorativa disponibili a lavorare) a metà anno è al 54,6%, si è ridotto di circa 2 punti percentuali durante la pandemia e rimane lontanissimo da quello degli uomini, pari al 72,9%. Da questo punto di vista, l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i Paesi europei, guidati dalla Svezia, dove il tasso di attività femminile è pari all’80,3%, e siamo distanti anche da Grecia e Romania, che con il 59,3% ci precedono immediatamente nella graduatoria. La pandemia ha comportato un surplus inedito di difficoltà rispetto a quelle abituali per le donne che si sono trovate a dover gestire in casa il doppio carico figli-lavoro. Il 52,9% delle donne occupate dichiara che durante l’emergenza sanitaria si è dovuto sobbarcare un carico aggiuntivo di stress, fatica e impegno nel lavoro e nella vita familiare, per il 39,1% la
situazione è rimasta la stessa del periodo pre-Covid e solo per l’8,1% è migliorata. Tra gli occupati uomini, invece, nel 39,3% dei casi stress e fatica sono peggiorati, nel 44,9% sono rimasti gli stessi e nel 15,9% sono migliorati.

Il bello e il brutto di internet. La battaglia individuale contro la pandemia è stata combattuta con le armi della disintermediazione digitale. Durante l’emergenza, a più di un italiano su due le tecnologie digitali hanno consentito di provvedere alle proprie necessità (58,6%), di mantenere le relazioni sociali (55,3%) e di continuare a lavorare o studiare (55,2%). Ma il livello di istruzione rappresenta ancora un fattore di filtro. Ad esempio, gli utenti di internet in possesso di un basso titolo di studio (fino alla licenza media) sono più restii a utilizzare online il proprio conto corrente: lo fa il 30,3% a fronte del 60,1% di diplomati e laureati.

I risvolti sociali positivi: la riscoperta della solidarietà. Un terzo degli italiani ha partecipato a iniziative di solidarietà legate all’emergenza sanitaria, aderendo alle raccolte di fondi per associazioni non profit, per la Protezione civile o a favore degli ospedali. Quasi un terzo di coloro che si sono attivati ha svolto in prima persona attività gratuita in associazioni di volontariato impegnate nella lotta al Covid. Il 20,7% degli italiani ritiene che la gestione dell’emergenza da parte delle istituzioni abbia prodotto buoni risultati, per il 56,3% è stata abbastanza adeguata, per il 23,0% inadeguata.

Video. Presentazione del rapporto annuale CENSIS sulla situazione sociale del Paese

 

Il capitolo «Il sistema di welfare» del 55° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2021

Roma, 3 dicembre 2021 – Tracce di nuova sanità. Il 77,0% degli italiani valuta adeguato l’operato del Servizio sanitario da quando è iniziata l’emergenza sanitaria. Accanto al riconoscimento dell’eccezionale sforzo compiuto, stanno maturando le aspettative dei cittadini sulla sanità post-Covid. Il 94,0% della popolazione ritiene indispensabile avere sul territorio strutture sanitarie di prossimità, con medici di medicina generale, specialisti e infermieri cui potersi rivolgere sempre. In caso di bisogno Il 93,2% chiede un incremento stabile dei finanziamenti pubblici. Per il 70,3% è prioritario un più ampio ricorso al digitale e alla telemedicina per effettuare controlli, diagnosi e cure a distanza.

L’autoregolazione responsabile della salute contro le pulsioni antiscientifiche. Il 67,0% degli italiani ha difficoltà a pensare di poter tornare alla vita precedente (il dato arriva addirittura all’82,7% dei giovani). Il rapporto con la salute è uno degli epicentri del cambiamento che il Covid-19 ha innescato nelle nostre vite. Uno degli ambiti in cui ciò è evidente è la gestione autonomia dei piccoli disturbi (mal di schiena, mal di testa, mal di stomaco, ecc.): nell’ultimo anno sono 46 milioni gli italiani che ne hanno sofferto. Come hanno reagito? Il 65,4% (il 77,8% tra i giovani, il 72,8% tra i laureati) ha fatto ricorso almeno una volta a farmaci senza obbligo di ricetta, basandosi nella maggioranza dei casi su esperienze analoghe in cui erano ricorsi al supporto di un medico o di un farmacista. La valorizzazione della responsabilizzazione individuale si lega a una corretta informazione ed educazione sanitaria che nella sanità del futuro dovrà essere accessibile, diffusa e continuativa, secondo le aspettative dell’83,6% dei cittadini. La maturità degli italiani nel rapporto con l’informazione sulla salute emerge anche dalla richiesta di pene severe per chi diffonde deliberatamente false notizie (56,2%) e di introdurre l’obbligo per le piattaforme di rimuovere le fake news (52,2%).

Buona protezione cercasi. La pandemia ha accentuato il senso di vulnerabilità. Il 40,3% degli italiani si sente insicuro pensando alla propria salute e alla futura necessità di dover ricorrere a prestazioni sanitarie. Il 33,9% non si sente sicuro rispetto a un’eventuale condizione di non autosufficienza. Il 27,4% teme la disoccupazione e le relative difficoltà reddituali. Il 27,4% è preoccupato dal tenore di vita che potrà permettersi nella vecchiaia. In prospettiva, la protezione per la maggioranza degli italiani è l’esito di una pluralità di fonti di finanziamento e di soggetti cui rivolgersi. Per il 61,8% dei cittadini lo Stato garantirà un pacchetto definito e ristretto di bisogni essenziali, e i cittadini dovranno pagarsi da soli le prestazioni in più che vorranno. Secondo il 30,7% il welfare statale non coprirà l’essenziale, tanto che le persone dovranno pagarsi tutto da soli, inclusi i servizi a copertura dei bisogni essenziali. Solo per il 7,5% garantirà la copertura di tutti i bisogni, anche al di là di quelli essenziali.

Il boom della povertà. Nel 2020 2 milioni di famiglie italiane vivono in povertà assoluta, con un aumento rilevante rispetto al 2010, quando erano 980.000: +104,8%. L’aumento è sostenuto soprattutto al Nord (+131,4%), rispetto alle aree del Centro (+67,6%) e del Sud (+93,8%). Tra le famiglie cadute in povertà assoluta durante il primo anno di pandemia, il 65% risiede al Nord, il 21% nel Mezzogiorno, il 14% al Centro. Il disagio sociale ha assunto forme inedite, materializzandosi nel rapporto non sempre facile con il digitale sperimentato da quote significative della popolazione. Lo affermano il 35,2% degli studenti degli ultimi anni delle superiori e dell’università, che hanno avuto difficoltà nella formazione a distanza, e l’11% degli occupati alle prese con le proprie attività lavorative in versione digitale. Per il 60,7% degli italiani, in assenza di interventi adeguati, il digitale aumenterà le disuguaglianze tra le persone. L’86,3% ritiene la connettività a internet un diritto fondamentale, al pari della tutela della salute, della pensione per la vecchiaia o delle tutele sul lavoro.

Il «silver welfare» è ancora importante. Nel 2020 le famiglie con almeno un pensionato da lavoro sono 8,7 milioni (pari al 33,4% del totale), con un aumento del 2,1% rispetto al 2019, ovvero 177.000 nuclei familiari in più. Si tratta di un dato in controtendenza rispetto al decennio antecedente al Covid-19 (2010-2019), quando la stessa tipologia di famiglie era diminuita di 249.000 unità (-2,8%). Sempre nel periodo 2019-2020 le coppie di pensionati con figli sono aumentate del 2,7% e sono diventate complessivamente 1,2 milioni, mentre nel periodo 2010-2019 si era registrata una variazione negativa, pari a -26,7%. Tra il 2019 e il 2020 si contano 443.000 nuclei monogenitoriali con almeno un pensionato, aumentati in dodici mesi di 18.000 unità (+4,1%), a fronte di un calo nel periodo 2010-2019 di 36.000 unità (-7,8%). La crescita delle tipologie familiari in cui coesistono genitori pensionati con figli rilancia con forza il tema della rilevanza sociale delle pensioni. Il 69,7% degli italiani pensa infatti che gli anziani siano il bancomat di figli e nipoti. Nel tempo andrà valutato l’impatto economico delle misure di anticipo del pensionamento introdotte in questi anni: nel 2020 si registrano 291.479 pensioni anticipate contro le 269.528 pensioni di vecchiaia, mentre nel 2019 le prime erano state 299.416 e quelle di vecchiaia 155.625.

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Nota Terra Piatta

La concezione di una Terra sferica nacque per la prima volta in Grecia durante l’antichità classica. Il primo a proporre la sfericità della Terra sembra sia stato Pitagora (VI secolo a.C.), che si era recato per motivi di studio sia a Babilonia sia in Egitto. La sfericità della Terra è considerata una nozione acquisita, sia da Platone sia da Aristotele. Aristotele è il primo che fornisce nel De coelo le prove osservative della sfericità della Terra.

Nel III secolo a.C. Eratostene (276-194 a.c.) non solo usò coordinate sferiche per rappresentare i punti della superficie terrestre, ma misurò anche con ottima approssimazione la circonferenza della Terra. Egli sapeva che a Siene (oggi Assuan) in Egitto, nel giorno del solstizio d’estate il Sole era allo zenit ed i raggi risultavano verticali, mentre ad Alessandria formavano un angolo di 1/50 di giro (ancora i gradi sessagesimali non erano stati ufficialmente introdotti), corrispondente a 7,2 gradi sessagesimali. Un grado corrispondeva a 700 stadi risultando così una circonferenza di 252.000 stadi pari a 40.500 km circa: un valore sorprendentemente vicino al vero (40.009 km).

Eratostene utilizzò stime rozze e numeri arrotondati ma la sua misura differisce da quella attualmente conosciuta di un margine tra il 2% e il 20%. Ovviamente in questa misura si deve assumere che il sole sia abbastanza lontano dalla terra in modo da poter considerare i suoi raggi paralleli. Nella tarda antichità, il periodo in cui si formò la teologia cristiana, la conoscenza della sfericità della terra era ormai assodata: solo una piccola minoranza continuava il dibattito sulla piattezza della Terra.

Gli Arabi riprovarono a misurare un meridiano nel sec. VII d. C e calcolarono un valore pari a poco più di 43.000 km.

La convinzione che la Terra sia piatta fu ”riscoperta” e propagandata vigorosamente da Samuel Rowbotham (1816-1884), un inglese autodidatta che scriveva con lo pseudonimo di “Parallax”. A partire dal 1849 egli pubblicò risultati di alcuni suoi esperimenti di misura della curvatura della superficie di diversi laghi per dimostrare che non fosse curva.

 

Redazione Fedaisf

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