
È stato firmata a Modena una delibera/accordo, due settimane fa, dal direttore generale dell’Ausi, Mattia Altini. L’obiettivo: ridurre le prescrizioni inappropriate e alleggerire le liste di attesa, dando incentivi ai medici di base, che potranno poi reinvestire nei loro ambulatori per migliorarli. Secondo Altini l’iniziativa è garantire un uso responsabile delle risorse sanitarie. Ogni esame non necessario sottrae una risorsa a un paziente che ne avrebbe necessità. Un accordo di questo tipo è già stato implementato in alcune province del Veneto
e sta per essere avviato a Bologna che però, viste le reazioni che ha suscitato fa marcia indietro. Un clamoroso autogol per la Giunta Regionale? I partiti che sostengono la Giunta, in aperto dissenso, vogliono portare in Parlamento questo provvedimento.
Che la sanità in Emilia Romagna sia in crisi di identità lo ha reso noto il presidente della Regione, Michele De Pascale prima introducendo il ticket sui farmaci, poi, due giorni fa, lanciando l’idea di chiudere i confini regionali e vietare l’accesso agli ospedali a chi non è emiliano romagnolo per fermare quel “fastidioso” flusso di migrazione sanitaria tra Regioni che – secondo lui – intasa le liste d’attesa e rende impossibile risolvere il problema dei costi. Un’aberrazione se si pensa allo spirito istitutivo del Servizio sanitario nazionale basato su principi di universalità, uguaglianza ed equità. Il sindaco leghista di Ferrara Alan Fabbri ha condiviso le parole del presidente della Regione Emilia-Romagna.
La delibera modenese prevede che chi non si scosterà più di tanto da un numero prefissato di prescrizioni (una dozzina inizialmente) nei prossimi mesi riceverà in cambio una premio equivalente a 1,2 euro in più all’anno per ogni paziente (circa 2.000 euro in più) a cui si somma la quota di 0,3 euro per assistito all’anno per l’aderenza alle indicazioni cliniche contenute nel “Catalogo delle Urgenze” in coerenza con le indicazioni di appropriatezza prescrittiva regionali. E per chi, pur impegnandosi, non riuscisse a raggiungere del tutto l’obiettivo al primo colpo, è previsto anche il premio di consolazione: 0,7 euro in più per ogni paziente, se si arriva a rispettare almeno una parte delle indicazioni numeriche dettate dall’accordo. L’indicazione è di non superare (o di raggiungere a seconda dei casi) gli indicatori previsti che corrispondono al numero di esami svolti nel 2024, più o meno il 25%, e riguardano tutte le più frequenti prestazioni diagnostiche specialistiche.
In cambio, però, i medici non saranno più liberi di prescrivere esami diagnostici secondo coscienza, ma dovranno tenere quotidianamente sotto controllo i numeri delle prescrizioni, cercando di non superare (o di raggiungere a seconda dei casi) gli indicatori previsti.
Per lo SNAMI la credibilità dei medici di famiglia potrebbe essere davvero la fine. Secondo il sindacato Snami (Sindacato nazionale autonomo medici italiani), l’unico con SMI, tra le sigle del settore, che non ha sottoscritto l’accordo: «L’appropriatezza è un dovere deontologico, non una prestazione a cottimo», ha dichiarato con una nota. «Far passare l’idea che la prescrizione o la sua negazione possano essere
negoziate da un incentivo aziendale significa trasformare i medici in meri esecutori delle politiche di contenimento della spesa».
Secondo il sindacato, incentivi di questo tipo rischiano di compromettere l’indipendenza dei medici, inducendoli a modificare le prescrizioni non solo per ragioni cliniche, ma anche per ottenere il premio economico. La polemica si inserisce in un contesto più ampio di attenzione ai rapporti tra sanità pubblica e dinamiche economiche, richiamando alla memoria episodi passati di ingerenze dell’industria farmaceutica sulle scelte terapeutiche, una sorta di comparaggio inverso.
Si potrebbe insinuare il dubbio nei pazienti che meno il medico prescrive più guadagna. Inoltre si correrebbe il rischio di incentivare il ricorso a prestazioni in libera professione, cioè a pagamento, penalizzando chi non può permettersi accertamenti privati, ad esempio i pensionati.
In questo modo si fa prevalere logiche di risparmio a discapito del parametro proprio dell’appropriatezza della cura.
Ed è giusto che, per ragioni puramente economiche, un medico si trovi nella necessità di non poter prescrivere la diagnostica più adatta e, magari, più innovativa, al proprio paziente? Su chi ricade, in tal caso, la responsabilità della scelta?
La nota SNAMI
Incentivi economici ai medici di base per prescrivere meno esami: così si spalanca la porta al privato
Continuare a vantarsi di essere eccellenza, costringendo i medici di base a fare ‘contabilità sanitaria’ produce una amara altalena tra angoscia e rabbia
L’Ausl di Modena ufficialmente dice di voler promuovere ‘l’appropriatezza delle prescrizioni di prestazioni
specialistiche e diagnostiche’, ma dietro la delibera 298 del 28 ottobre firmata dal direttore generale Mattia Altini, si vede in controluce un baratro che ha i contorni ben più ampi di quelli di un semplice rischio. Incentivare con premi economici i medici di base a prescrivere meno esami è evidentemente una scelta motivata dalla esigenza di tagliare la spesa sanitaria (‘dobbiamo garantire un uso responsabile delle risorse sanitarie che oggi più che mai sono sottodimensionate rispetto alla domanda’ – ha ammesso Altini), ma così facendo si spalanca inevitabilmente la porta al privato. La posta è altissima, in gioco vi è il diritto costituzionale alla salute e il principio stesso di servizio sanitario universalistico sancito dalla famosa legge 833 del ’78.
La verità è che oggi molti medici di base non visitano nemmeno i pazienti, spesso li seguono con rapporti via mail o tutto al più telefonici, rapporti mediati da segretarie che seguono contemporaneamente più professionisti. Con questa decisione di Altini, il paziente, già disorientato, da domani avrà il dubbio di non aver ricevuto la prescrizione per un esame fondamentale come una Tac o una Risonanza, perchè il medico ha voluto restare nei parametri fissa
i dagli ‘standard’ che gli consentono di incassare 1,2 euro in più ad assistito.
E quindi il cittadino cosa farà?
Chi avrà l’opportunità ricorrerà alle prestazioni specialistiche private, gli altri si adatteranno. Magari si vedranno negare un esame che fino a ieri veniva erogato, in modo periodico, e aggiungeranno allo stress delle infinite liste d’attesa, anche quello della preghiera al medico di base per ottenere la prescrizione. Il tutto alla faccia del concetto di ‘prevenzione’. In alcuni casi davvero la visita era superflua, ma il tarlo nel paziente resterà e scaverà a fondo spalancando fragilità e crepe che la malattia o la vecchiaia già hanno aperto. E’ questa la alleanza tra gli attori del sistema che si spera di realizzare? Pazienti che si confronteranno l’uno con l’altro e misureranno la stima del medico in base al fatto di aver ricevuto l’ok a una prestazione specialistica?
Se il sistema sanitario non sta più in piedi, se il presidente della Regione Emilia Romagna deve puntare il dito contro le altre Regioni dalle quali provengono pazienti in cerca di assistenza, se nonostante il livello di tassazione tra i più alti d’Europa la barca italiana sta affondando, lo si dica.
Si dica chiaramente che il gioco è saltato, per colpa del Governo, per colpa di una organizzazione territoriale sbagliata, per colpa del destino o di Dio stesso. Ma lo si dica. Lo dica il direttore dell’Ausl, lo dica il direttore dell’Aou, lo dica Mezzetti nelle vesti di presidente della Ctss, ma qualcuno abbia questo coraggio di ammettere il fallimento. Perchè forse dalla constatazione delle macerie qualcosa si può ricostruire. Perchè continuare a vantarsi di essere eccellenza, costringendo i medici di base a fare ‘contabilità sanitaria’ è davvero triste e – a seconda dello stato d’animo di ciascuno – produce una amara altalena tra angoscia e rabbia.
Giuseppe Leonelli
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