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Farmaco, da costo a investimento

Nell’Europa unita l’Italia è il secondo produttore del settore farmaceutico, ma il primo in assoluto per l’export: solo nel 2013 la crescita è stata del 14% per un complessivo +64% negli ultimi cinque anni. Numeri che testimoniano l’importanza della farmaceutica nel bilancio economico del nostro Paese. Le positive ricadute del settore si scontrano però con la burocrazia che rallenta la crescita, i prezzi più bassi dell’Unione europea e un’innovazione che spesso arriva in ritardo.

Di tutto questo si è parlato al simposio Daiichi Sankyo su Governo della spesa e crescita industriale: il nuovo assetto regolatorio del farmaco in un’ottica di sostenibilità che si è svolto al Congresso nazionale della Sifo, la Società italiana di farmacia ospedaliera, che si chiude domenica 19 ottobre a Montesilvano (PE).

L’Italia, è stato ricordato nel corso del simposio, è uno tra i Paesi dell’Ue che destina meno risorse alla spesa sanitaria pubblica, con un tasso di crescita e un disavanzo, negli ultimi anni, relativamente bassi. La spesa farmaceutica italiana pro-capite è esemplificativa della situazione: nel 2000 era superiore del 19% rispetto alla media Ocse, calando all’8% nel 2002; dal 2003 la situazione si è invertita, portandola sotto la media, fino ad arrivare nel 2009 a una differenza dell’ordine del 16%.

«Malgrado l’evidenza che i Paesi che hanno mantenuto strategie di non penalizzazione dell’industria farmaceutica abbiano in questo settore un bilancio finanziario esportazioni/importazioni favorevole – Francesco Mennini, professore di Economia sanitaria ed economia politica all’Università romana di Tor Vergata – il farmaco è stato tolto dalle priorità industriali del nostro Paese che rimane quindi sottoposto a un bilancio dei pagamenti negativo, in un settore fondamentale per la salute». Per Mennini, l’attività regolatoria, «tesa sempre più al contenimento dei costi» dovrebbe invece prestare attenzione «anche alle prospettive di sviluppo delle imprese, da cui deriva un beneficio in termini di valore aggiunto, non solo monetario ma anche di miglioramento e allungamento della vita». Perciò, conclude l’economista, «appare naturale e intuitivo concepire e interpretare l’evoluzione del concetto di costo della sanità verso quello d’investimento per la salute».

Redazione Fedaisf

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