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Il difensore dell’ISF oggetto di mobbing, Avv. Emanuela Messina, commenta la sentenza della Cassazione che condanna l’azienda per averlo posto alle dipendenze del marketing

Un fantasma si aggira per l’Italia, e non da oggi. Si aggira tra farmacie ed ospedali, vestendo giubbe di ogni forma e colore, con pochi diritti e molteplici oneri e doveri. E’ l’informatore scientifico farmaceutico, operatore che, a detta di Legge, dovrebbe svolgere, in maniera completamente autonoma, l’attività di informazione scientifica presso i medici e gli operatori sanitari, illustrando loro le caratteristiche farmacologiche dei farmaci, al fine di assicurarne il corretto impiego.

Senonché, in base ad una prassi ormai divenuta tristemente endemica da parte delle case farmaceutiche, l’informatore sceintifico viene chiamato a fare tutt’altro, in particolare a  raccogliere ordini dai farmacisti ed informazioni sulle abitudini prescrittive dai medici, vincolato a raggiungere quantità ben determinate dei suddetti ordini, retribuito a provvigione sui medesimi, regolarmente accompagnato – o meglio, sorvegliato – da un capoarea appartenente al settore commerciale, spesso vessato, irriso, classificato e giudicato sulla base di indici formati esclusivamente sul venduto, ed infine frequentemente cacciato via, al costo di una mera raccomandata a.r., in quanto non più redditizio rispetto alle aspettative aziendali.  

Da questo modello comportamentale derivano ovviamente molteplici lesioni dei diritti dell’informatore farmaceutico: lesione della propria autonomia in favore di una subordinazione di fatto (ma senza le garanzie previste a tutela dei lavoratori subordinati), lesioni alla propria dignità, alla personalità morale, all’immagine, alla salute fisica e psichica; comportamenti mobbizzanti: tutte circostanze estremamente difficili da provare in corso di eventuale futuro contenzioso in conseguenza della posizione sostanzialmente e giuridicamente ibrida dell’informatore medesimo.

Estremamente significativa, sotto questi profili, appare una sentenza della Corte di Cassazione appena pubblicata (33426/2022), che ha dovuto dirimere il conflitto tra due sentenze di merito oggettivamente opposte: mentre il Tribunale della Spezia, accertata la sussistenza di grave demansionamento e di comportamenti mobbizzanti in danno dell’informatore – difeso dall’Avv. Emanuela Messina del locale Foro -,  aveva condannato la casa farmaceutica al risarcimento del danno biologico temporaneo, del danno biologico permanente, del danno alla dignità ed all’immagine personali e professionale, nonchè al rimborso delle spese mediche sostenute, la Corte d’Appello genovese, in accoglimento dell’appello della datrice di lavoro, ha ritenuto che il Tribunale avesse assegnato rilevanza eccessiva alle attività di carattere commerciale svolte dal ricorrente (per quanto espressamente vietate dalla Legge all’informatore scientifico); ha ritenuto altresì che le problematiche emerse con il capo-area non fossero oggettivamente lesive della reputazione del ricorrente e che la situazione lavorativa, caratterizzata da “normali” dinamiche conflittuali, fosse stata vissuta dal ricorrente con la mera soggettiva percezione di essere vessato e denigrato dai propri superiori, senza oggettivo riscontro, respingendone così tutte le domande, nessuna esclusa.

Risulta evidente come un’impostazione così rigida, quasi dottrinale, non abbia consentito ai giudici del gravame di fare piena luce sul caso concreto in esame. E’ già lecito nutrire forti dubbi sul ritenere quasi 

irrilevante il fatto che venga imposto di svolgere attività commerciale ad una figura che, per espressa disposizione di legge, ne risulta assolutamente incompatibile, dovendo unicamente svolgere informazione scientifica; nonché sul definire “normale” – e quindi non nocivo – un rapporto perennemente conflittuale con il proprio superiore; ma ciò che soprattutto appare censurabile è il carattere di lotteria virtuale della fattispecie così come interpretata dalla Corte: qualora emerga il comportamento persecutorio datoriale, il ricorrente vince tutto; qualora residuino dubbi in tal  senso, il ricorrente vede rigettata ogni domanda: il Collegio si preclude così la valutazione di ogni sfumatura intermedia tra due statuizioni radicali: assurdamente, o tutto o niente!

Interviene fortunatamente la Suprema Corte a ricordare che tra due posizioni opposte si colloca sempre un’area grigia da analizzare attentamente. In particolare, secondo la Cassazione, il dettato dell’art. 2087 c.c. consente di ricomprendere nella tutela risarcitoria di tutti i rischi correlati allo stress lavorativo, anche in assenza dei più stringenti presupposti del mobbing o del demansionamento. E’ già nota ai giuristi la distinta fattispecie denominata straining, caratterizzata da comportamenti stressogeni nei confronti di un dipendente, anche omissivi (consistenti cioè anche solo nel tollerare un ambiente lavorativo fonte di stress) e fonte di responsabilità risarcitoria responsabilità del datore di lavoro che indebitamente tolleri l’esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute, sempre secondo il paradigma di cui all’art. 2087 c.c.

Ma la fondamentale novità della citata sentenza consiste in un ulteriore passo avanti da parte della Suprema Corte, nel precisare le nozioni di mobbing e straining hanno natura meramente medico-legale e non rivestono autonoma rilevanza ai fini giuridici, ma servono soltanto per identificare qualunque comportamento che si ponga in contrasto con l’art. 2087 c.c. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro; pertanto è comunque configurabile la responsabilità datoriale a fronte di qualunque mero inadempimento – imputabile anche solo per colpa – che si ponga in nesso causale con un danno alla salute, e ciò secondo le regole generali sugli obblighi risarcitori conseguenti a responsabilità contrattuale.

Secondo il principio di diritto emesso dalla Cassazione, pertanto, “rientra nell’obbligo datoriale di protezione di cui all’art. 2087 c.c., in interazione con il diritto del lavoratore alle mansioni corrispondenti al proprio inquadramento contrattuale, la tutela contro ogni costrittività organizzativa”: vi rientrano sostanzialmente tutte le disposizioni imposte dalle case farmaceutiche a danno dei propri informatori scientifici, qualora contrastino con disposizioni di legge o con l’inquadramento contrattuale sottoscritto dalle parti, con conseguente diritto al risarcimento di ogni danno subito. Ed un altro passo avanti, verso la tutela dell’informatore scientifico è stato, per quanto faticosamente, compiuto.    

Avv. Emanuela Messina


N.d.R.: Ancora una volta la Cassazione sentenzia che l’informatore scientifico non dipende da una Direzione Marketing o da un capo area che dipende dal marketing. Nella Sentenza è indicato il nome dell’Azienda colpevole, ritenuta tale dalla Cassazione. Ora ci domandiamo, cosa intende fare AIFA? che provvedimenti prenderà? Inoltre c’è una palese violazione del Codice Deontologico e delle Linee Guida per la certificazione dell’informazione scientifica di Farmindustria, ci chiediamo e chiediamo che provvedimenti prenderà Farmindustria? E i Sindacati, che il CCNL violando la legge, pongono l’ISF nell’area funzionale del marketing che intendono fare, visto che quella parte del CCNL è nulla perché “contra legem”?


Notizie correlate: Cassazione. Danno da straining, l’azienda deve risarcire l’Informatore scientifico. È errato ritenere che l’informatore scientifico sia sottoposto alla direzione marketing e a ragioni commerciali

Cassazione Ordinanza 33428/2022

 

Redazione Fedaisf

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