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Rapporto Caritas sulla povertà in Italia. Il 15,7% in condizioni di vulnerabilità sanitaria

I dati raccolti dalla Caritas nel 2024 mostrano che il 15,7% – degli oltre 277mila assistiti – vive una condizione di vulnerabilità sanitaria, spesso legata a patologie gravi e alla mancanza di una risposta adeguata da parte del sistema pubblico

Rapporto Caritas – La povertà in Italia

Di fronte alla crescente complessità delle situazioni di bisogno, alcune richieste d’aiuto emergono con maggiore frequenza. Secondo i dati raccolti nel 2024, la domanda più diffusa – espressa dal 71,5% degli assistiti – riguarda l’accesso a beni e servizi essenziali.

Al terzo posto fra i bisogni, dopo problemi economici e abitativi, figurano le richieste di interventi di natura sanitaria, espresse dal 7,4% delle famiglie assistite. In questo ambito prevalgono le domande per l’acquisto di farmaci, visite mediche o odontoiatriche, e contributi per spese sanitarie (vedi Focus 2 dedicato alle vulnerabilità sanitarie).

Nonostante la Costituzione Italiana riconosca la tutela della salute come diritto fondamentale (art. 32) e il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) abbia un’impronta universalistica, ancora oggi molti cittadini incontrano ostacoli nell’accesso alle cure. Nel 2024 – secondo l’Istituto Nazionale di Statistica – il 9,9% della popolazione, pari a quasi 6 milioni di persone, ha dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie ritenute necessarie (visite specialistiche, esami diagnostici come radiografie, ecografie, risonanze magnetiche, ecc.). Le principali cause sono riconducibili a due fattori: da un lato le lunghe liste d’attesa, dall’altro i costi che molte famiglie non riescono a sostenere. Il fenomeno appare in crescita rispetto al 2023 e al periodo pre-pandemico, a causa del peggioramento delle condizioni di accesso e delle difficoltà nella prenotazione.

La quota di chi rinuncia alle cure per i tempi d’attesa è aumentata di 4 punti percentuali rispetto al 2019 e di 2,3 rispetto al 2023. Di pari passo cresce il ricorso al privato: nel 2024 il 23,9% delle persone ha pagato interamente l’ultima prestazione specialistica, contro il 19,9% dell’anno precedente. Il fenomeno interessa tutto il territorio nazionale in modo piuttosto uniforme: 9,2% al Nord, 10,7% al Centro e 10,3% nel Mezzogiorno. Tuttavia, rispetto al 2019, si registra una riduzione del divario territoriale, legata a un peggioramento più marcato proprio nelle aree settentrionali (dal 5,1% nel 2019 al 9,2% nel 2024).

Un ulteriore elemento critico riguarda l’istruzione: le persone con un titolo di studio più elevato rinunciano meno spesso alle cure rispetto a chi ha un’istruzione inferiore. Questo divario tende ad ampliarsi con l’età, indicando una crescente difficoltà per le persone più anziane e meno istruite a orientarsi nel sistema sanitario, accedere alla prevenzione o utilizzare strumenti digitali per prenotare visite e prestazioni. Tale quadro mette in luce un doppio svantaggio per le fasce più fragili: da un lato, barriere economiche dirette; dall’altro, ostacoli informativi e culturali che impediscono un accesso pieno e consapevole alla sanità pubblica. Le disuguaglianze sanitarie si intrecciano così con altre forme di esclusione, rafforzandosi reciprocamente.

Tra le persone che si rivolgono alla rete Caritas, già segnate da fragilità economiche e sociali, la situazione appare ancora più critica. I dati raccolti nel 2024 mostrano che il 15,7% – degli oltre 277mila assistiti – vive una condizione di vulnerabilità sanitaria, spesso legata a patologie gravi e alla mancanza di una risposta adeguata da parte del sistema pubblico.

Molti di questi soggetti chiedono esplicitamente aiuto alla rete Caritas, che diventa per loro un punto di riferimento e un presidio alternativo di ascolto e supporto. Altri, invece, non formulano richieste specifiche: ciò lascia presumere che il fenomeno delle rinunce sia ampiamente sottostimato, soprattutto tra i più marginalizzati, che spesso sfuggono ai circuiti statistici e sanitari formali. Dall’analisi delle caratteristiche emerge un profilo articolato di persone che subiscono un doppio svantaggio, sanitario e sociale:

  • uomini e donne tra i 55 e i 64 anni, e in misura crescente over 65;
  • persone sole, separate, divorziate o vedove, spesso senza reti familiari di supporto;
  • individui con basso livello di istruzione;
  • persone in condizioni abitative precarie
  • lavoratori fragili, irregolari, intermittenti, o già esclusi dal mercato del lavoro;
  • soggetti segnati da povertà cronica (il 34% è in carico alla rete Caritas da 5 anni e più) e marginalità multipla (il 58,5% cumula tre o più ambiti di bisogno);
  • persone prese in carico dai servizi sociali e sanitari pubblici e/o beneficiari di forme di sostegno al reddito e alla genitorialità (ADI, Assegno Unico);
  • residenti in aree interne o piccoli borghi, dove l’accesso ai servizi è logisticamente difficile.

I problemi di salute si presentano quasi sempre in concomitanza con altri bisogni — economici, lavorativi, abitativi, relazionali — che non si sommano in modo lineare, ma si amplificano reciprocamente (Tab. 1).

In particolare, le fragilità sanitarie risultano strettamente connesse alle condizioni abitative. Si innescano così veri e propri circoli viziosi, in cui ogni vulnerabilità alimenta le altre, rendendo sempre più difficile uscire da una condizione di fragilità. Parlare di multidimensionalità del bisogno significa riconoscere quindi che salute, casa, reddito, istruzione e relazioni non sono ambiti separati, ma interdipendenti: ciascuno può incidere negativamente sugli altri, aggravandoli.

In tal senso, i dati sulla durata della presa in carico confermano questa dinamica: tra le persone con problemi di salute, oltre una su tre è seguita da lungo tempo. Le fragilità tendono così a cronicizzarsi, trasformandosi in una condizione stabile di povertà e di esclusione. Si diventa poveri cronici, intrappolati in una rete di bisogni interconnessi, da cui è sempre più difficile emanciparsi. Per offrire risposte efficaci, è necessario adottare uno sguardo integrato e sistemico, in grado di cogliere la complessità delle situazioni e di costruire percorsi di accom- pagnamento personalizzati e multidisciplinari.

I dati Istat relativi all’anno 2023 (ultimo anno disponibile), attestano che in Italia il 9,7% della popolazione – pari a un residente su dieci – vive in uno stato di povertà assoluta. Complessivamente si contano 5 milioni 694mila poveri assoluti, per un totale di oltre 2 milioni 217mila famiglie. Si tratta di individui e nuclei che, secondo la definizione ufficiale, non hanno il minimo necessario per vivere dignitosamente. A loro si aggiungono, poi, le storie di chi può dirsi “in bilico” perché in una continua condizione di rischio povertà o esclusione sociale: si tratta complessivamente di oltre 13milioni di persone, pari al 23,1% della popolazione.

Se in passato lo stato di indigenza era associato per lo più a gruppi ben definiti e circoscritti (famiglie numerose, anziani, disoccupati e aree del Mezzogiorno), nel corso degli anni il fenomeno ha di fatto rotto gli “argini”, raggiungendo categorie inedite, oltre a esacerbarsi in talune situazioni preesistenti. Attualmente quattro possono dirsi i gruppi sociali che più pesantemente di altri hanno scontato gli effetti delle tante crisi attraversate nel tempo: i residenti nelle aree del Nord, le famiglie di stranieri, i minori e i “lavoratori poveri”.

Un ultimo elemento di allarme sociale riguarda infine il lavoro: lavorare oggi non basta più per mettersi al riparo da una condizione di indigenza. In Italia l’8% degli occupati non riesce a raggiungere uno standard di vita dignitoso. La situazione è particolarmente critica tra gli operai e le figure a loro assimilabili, per i quali la percentuale sale al 16,5%, segnando un record mai registrato prima. Confrontando l’incidenza della povertà tra gli operai e i disoccupati, si osserva uno scarto di appena 4 punti percentuali; questo dato suggerisce che, in molti casi, lavorare o non lavorare comporta un rischio simile nel trovarsi in uno stato di indigenza

Nota: Il Report vede il contributo dei 3.341 servizi distribuiti in 204 diocesi (pari al 92,7% delle diocesi italiane). Tutte le sedici regioni ecclesiastiche italiane hanno partecipato alla raccolta dei dati, attraverso diversi tipi di servizi, primi fra tutti i centri di ascolto, ma anche mediante altre esperienze di servizio ai poveri, tra cui le mense, gli empori solidali, i centri di distribuzione. I dati raccolti sono anzitutto per chi opera all’interno della rete Caritas

Comunicato Stampa Caritas

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