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Cassazione. Illegittimo il licenziamento per giusta causa per opera di un controllo occulto da parte di un investigatore privato

Cade il licenziamento per giusta causa se l’impresa si avvale di un investigatore per controllare la prestazione del dipendente.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza Num. 15094 Anno 2018. Il datore di lavoro aveva licenziato per giusta causa un dipendente avendo accertata “la mancata esecuzione dei compiti di verifica e controllo affidati al ricorrente e la inveritiera attestazione della positiva esecuzione di controlli mai eseguiti”.

La Corte di Appello, confermando il licenziamento, ha considerato che “i predetti comportamenti consistiti nell’aver rappresentato alla propria azienda un’attività lavorativa in realtà non svolta determinano la violazione del dovere di diligenza nell’adempimento della prestazione lavorativa, nonché la lesione dell’obbligo di fedeltà e in ultima analisi ledono irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro”.

La Corte di Cassazione però annulla il licenziamento disciplinare: un’agenzia di investigazione è legittimata a verificare se un dipendente fa azioni “specifiche” contro la legge. Ma la valutazione sulla sua condotta complessiva spetta soltanto all’azienda. Un’azienda non può incaricare un investigatore privato di controllare se un dipendente svolge per davvero e in modo corretto il compito per il quale viene pagato. Questo controllo – dice lo Statuto dei lavoratori, all’articolo 3 – può essere effettuato solo dal datore di lavoro e dai suoi collaboratori.

L’investigatore incaricato dal datore di lavoro “deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (cfr., in tali termini, Cass. n. 9167 del 2003)”.

L’utilizzo dell’investigatore privato è ammesso solo in alcuni casi, cioè se il dipendente: tiene comportamenti “penalmente rilevanti”; svolge, ad esempio, un’attività retribuita in favore di terzi durante il suo orario di lavoro; compie “mancanze specifiche” (come vendere un prodotto e rubare la somma incassata) o svolge un’attività extralavorativa violando il divieto di concorrenza.

Viceversa, l’investigatore “non può sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria”

Corte di Cassazione. Civile Ord. Sez. L Num. 15094 Anno 2018


Statuto dei Lavoratori

Art. 3.
Personale di vigilanza.

I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati.


Nota

Il Perdinamento

I datori di lavoro tecnicamente sono liberi di controllare a distanza i lavoratori. E sul punto è inutile appellarsi al Codice privacy giacché, le norme che riguardano la tutela dei dati personali e della riservatezza nel rapporto di lavoro, sfortunatamente, si limitano a richiamare l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori ovvero esattamente la norma che il governo ha riformulato.

Le agenzie investigative per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa riservata, dall’art. 3 dello Statuto dei lavoratori (cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale), direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori.

C’era stato l’ISF che era accusato di aver rapportate false visite ai medici. La prova era consistita nella deposizione degli investigatori privati ingaggiati dall’azienda per pedinare il dipendente. La Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello che ha ritenuto inattendibili gli investigatori privati.

Una sentenza della Cassazione però (Cass. Civ. n. 16196/2009) dichiara legittimi i controlli effettuati direttamente o tramite propria organizzazione gerarchica o attraverso personale esterno (es. agenzie investigative) nei confronti di una dipendente diretti a verificare la corrispondenza dei chilometri realmente effettuati per coprire i percorsi indicati e quelli esposti nella richiesta di rimborso spese.

Indipendentemente dal Jobs Act, in Italia non esiste il reato di pedinamento. Assoldare un investigatore privato per tale scopo non è contro la legge. Si può spiare una personae e anche pedinarla di nascosto. Ma a due condizioni: 1)- che non si crei, nel soggetto spiato, una condizione di ansia e paura per la propria sicurezza. In tal caso si sconfina nel reato di molestia o, peggio, stalking; 2)- che il pedinamento o l’attività di spionaggio non avvenga nella dimora del soggetto spiato o nei luoghi ad essa adiacenti come il giardino, il garage, il parcheggio condominiale, ecc. Con o senza Jobs Act, è permesso l’utilizzo dei dati raccolti dall’investigatore privato per motivi disciplinari (con i limiti però elencati dalla Cassazione).

In sostanza ciò che conta per il pedinato è accorgersi del pedinamento e che proprio per questo pedinamento sorga un turbamento con timore o ansia. Per provare il “turbamento” chiamare i carabinieri e denunciare il fatto.

Redazione


Statuto dei Lavoratori

Art. 4.
Impianti audiovisivi. (1)

1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi. (2)

2.  La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

(1) Articolo così sostituito dall’art. 23, comma 1, D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, a decorrere dal 24 settembre 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 43, comma 1 del medesimo D.Lgs. n. 151/2015.
(2) Comma così modificato dall’art. 5, comma 2, D.Lgs. 24 settembre 2016, n. 185, a decorrere dall’8 ottobre 2016, ai sensi di quanto disposto dall’art. 6, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 185/2016.

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Sul punto vedi la check list “Controllo a distanza del lavoratore e privacy”.
Cfr. Corte Europea Diritti dell’Uomo, Grande Camera, 05 settembre 2017 n° 61496/08, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 02 maggio 2017 n° 10636, Cassazione penale, sez. III, sentenza 08 maggio 2017 n° 22148.

 

Redazione Fedaisf

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