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Chi ha partita IVA può essere assunto come dipendente?

Quando i titolari di ditte individuali vengono considerati come lavoratori subordinati e il datore di lavoro deve riconoscergli i relativi diritti.

Sei un artigiano e titolare di una ditta individuale, ma da qualche anno lavori frequentemente e prevalentemente per un’unica impresa? Così ti domandi se chi ha partita Iva può essere assunto come dipendente. Anche l’azienda si pone la stessa domanda, ma nella prospettiva opposta, perché vorrebbe evitare di assumerti per risparmiare sui costi.

La questione riguarda sia il profilo formale sia l’aspetto sostanziale. In linea generale non è possibile assumere come dipendente un soggetto munito di partita Iva, perché non possono coesistere in capo alla medesima persona le due diverse qualità di lavoratore autonomo e di lavoratore subordinato, salvi i casi di totale diversità delle mansioni svolte nei rispettivi ambiti, senza nessuna interferenza reciproca. Viceversa, chi è già dipendente privato può – se il contratto di lavoro non lo vieta – aprire la partita Iva per svolgere attività imprenditoriali  professionali, purché ciò avvenga fuori dall’orario lavorativo e senza concorrenza con l’azienda di appartenenza.

In concreto, alcuni datori di lavoro cercano di aggirare l’ostacolo cercando manodopera già munita di partita Iva, in modo da non dover versare i contributi previdenziali, il Tfr e le altre indennità previste in favore dei lavoratori dipendenti, e di poter risolvere il rapporto senza le formalità previste per il licenziamento. Ma se questo trucco viene scoperto le conseguenze sono pesanti: lo dimostra una recentissima ordinanza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione [Cass. ord. n. 22846 del 21.07.2022] che ha riconosciuto l’esistenza di un rapporto di subordinazione di alcuni artigiani, titolari di ditta individuale, che in concreto risultavano sottoposti alle direttive datoriali, svolgevano compiti elementari e ripetitivi e percepivano la paga su base oraria. In questi casi chi è munito di partita Iva e figura come lavoratore autonomo, ma nella sostanza opera come un dipendente, può rivolgersi al giudice del lavoro e chiedere il riconoscimento di tutti i diritti spettanti al lavoratore subordinato.

Quando il rapporto di lavoro subordinato?

Il rapporto di lavoro subordinato presenta le caratteristiche tipiche indicate nell’art. 2094 del Codice civile: il dipendente «si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore».

Come abbiamo anticipato all’inizio, molte aziende, per evitare le assunzioni, ricorrono a varie forme di contratti di collaborazione esterna, che in realtà camuffano rapporti di lavoro subordinato. Per smascherare questi fenomeni, e riconoscere i diritti ai lavoratori, la giurisprudenza ricorre ad una presunzione di subordinazione, che ricorre quando si verificano alcuni indici rivelatori dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Da cosa si evince che una partita Iva svolge attività di lavoro subordinato?

Nella nuova vicenda decisa dalla Corte di Cassazione[1], la presunzione di subordinazione è stata ravvisata nel fatto che la prestazione lavorativa e «estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione»; inoltre era emerso «l’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare» del datore di lavoro.

È stato anche riscontrato che quegli artigiani – formalmente titolari di partita Iva – non avevano neppure una minima organizzazione imprenditoriale, in quanto era l’impresa presso cui lavoravano che li dotava, di volta in volta, degli strumenti occorrenti; infine, le modalità di erogazione del compenso erano stabilite su base oraria, anziché in relazione alle prestazioni eseguite. Da tempo la giurisprudenza ritiene che l‘obbligo di orario costituisce uno dei principali indici rivelatori della subordinazione del rapporto di lavoro.

È interessante notare che la prova della subordinazione può essere fornita con ogni mezzo consentito nel processo di lavoro: dalle testimonianze dei colleghi alle chat su Whatsapp con il capo ed i superiori. L’importante è che emerga la continuità della prestazione lavorativa svolta, l’obbligo di presenza sul posto di lavoro, o di reperibilità, nelle fasce orarie stabilite, l’inserimento stabile ed effettivo nell’organizzazione aziendale, la sottoposizione piena e costante del soggetto alle direttive datoriali e una retribuzione fissa, periodica e predeterminata basata essenzialmente sull’orario di lavoro svolto.

Quando partita Iva e rapporto dipendente possono coesistere?

A parte il fenomeno delle partite Iva fittizie o di comodo, create per mascherare quello che in realtà è un vero e proprio rapporto di lavoro dipendente di tipo subordinato, ci sono dei casi in cui la partita Iva e il rapporto di lavoro dipendente possono coesistere. In questi casi non vi è un illecito da parte del datore di lavoro come quelli che abbiamo esaminato, e la situazione è legittima per entrambe le parti.

Ad esempio, chi è già lavoratore dipendente può aprire una partita Iva se essa è necessaria per lo svolgimento di un’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale, professionale o artistica che non si pone in concorrenza con il lavoro svolto alle dipendenze dell’azienda, e se il contratto di lavoro non lo vieta; infatti l’art. 2105 del Codice civile impone al prestatore di lavoro un obbligo di fedeltà. Altrimenti, in caso di concorrenza tra l’attività svolta come dipendente e quella esercitata con partita Iva, si può essere licenziati per giusta causa. Per i dipendenti pubblici vigono regole ancor più più stringenti [2], che vietano in partenza lo svolgimento di determinate attività considerate incompatibili con la natura delle funzioni pubbliche esercitate ma le consentono in determinati casi, come quello dei docenti che possono esercitare anche la libera professione.

Per altre informazioni leggi:

written by Paolo Remer | 25/07/2022 – la legge per tutti

Cass. ord. n. 22846 del 21.07.2022.

D.Lgs. n. 165/2001.


N.d.R.: La professione dell’Informatore Scientifico del Farmaco è regolamentata da D. Lgs. 219/06, in particolare l’art. 122 ne traccia i requisiti e l’attività. Al comma 3 si dice che “L’attività degli informatori scientifici è svolta sulla base di un rapporto di lavoro instaurato con un’unica impresa farmaceutica. Con decreto del Ministro della salute, su proposta dell’AIFA, possono essere previste, in ragione delle dimensioni e delle caratteristiche delle imprese, deroghe alle disposizioni previste dal precedente periodo”.

Pur essendo molto diffuso il contratto d’agenzia, gli ISF non sono e non possono essere agenti di commercio (vedi sentenza della Cassazione n. 19394/2014), nel senso che non concludono, e non lo possono fare per le leggi vigenti, contratti di vendita.

L’art. 69-bis del D.Lgs. n. 276/2003, salvo prova contraria del committente, stabilisce che le prestazioni effettuate da persone con partita IVA sono riqualificate come rapporti di lavoro dipendente (false partite IVA) qualora ricorrano almeno due delle seguenti condizioni:

  1. La collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva a 8 mesi annui per 2 anni consecutivi (lett. a – criterio temporale);
  2. Il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro di imputazione di interessi, costituisca più dell’80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di 2 anni solari consecutivi (lett. b – criterio del fatturato);
  3. Il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente (lett. c – criterio organizzativo).

È evidente che l’ISF agente lavorando per un unico committente (i plurimandati devono essere autorizzato dal Ministero della Salute) e il corrispettivo che percepisce deriva da un unico “cliente” non possono per legge essere partite IVA

Sussistendo gli indici citati e in assenza di prova contraria, deve essere riqualificato il rapporto di lavoro autonomo con partita IVA in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ai sensi degli articoli 61 e 69 del D.Lgs. n. 276/2003.

Gli organi ispettivi inoltre dovranno, in fase di riqualificazione del rapporto di lavoro, redigere il verbale unico di accertamento da trasmettere all’INPS e all’INAIL, per il recupero dei contributi e dei premi e determinare le sanzioni pecuniarie amministrative per i mancati adempimenti.

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Lettera aperta di un lettore. ISF false partite IVA. N.d.R.

 

Redazione Fedaisf

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