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Conflitto d’interessi per il Ministro della Salute?

E' accusato di essere in possesso di azioni di aziende farmaceutiche americane. Dal ministero rispondono che «si tratta di titoli di scarso valore»

Il giornale “Il Domani” del 18 agosto ’23 pubblica la notizia che il ministro della salute, Orazio Schillaci, è in possesso di azioni di aziende farmaceutiche americane per un valore complessivo di 100.000 euro.

Lo ha reso noto lo stesso ministro nella dichiarazione patrimoniale compilata 2 mesi dopo l’insediamento al ministero. Oltre alle azioni delle società che si occupano di salute, Schillaci ha dichiarato anche redditi per oltre 236mila euro, sette appartamenti e terreni tra il centro di Roma, Catania, Amantea (sul litorale cosentino) da dove è originaria la madre, e Rocca di Mezzo (località sciistica in Abruzzo), e la sua macchina. Oltre a questi ci sono poi un totale di 25 pacchetti di azioni di società quotate a Wall Street, per un valore di oltre 700mila dollari, fra questi le azioni di 8 aziende farmaceutiche.

Il che, dice il Domani, pone questioni dì opportunità: un ministro che possiede azioni di società che operano nel settore di cui si occupa presenta un rischio di un conflitto di interessi potendo in teoria queste società utilizzare questa informazione pubblica, quella di avere un ministro di un paese del G7 e della terza economia europea tra gli investitori per inserirsi nel mercato italiano, o per iniziare un rapporto commerciale con un ateneo, una struttura di ricerca, o un istituto di regolamentazione.

L’ufficio stampa del ministero precisano che le azioni sono in possesso del ministro da alcuni anni, molto tempo prima dell’assunzione di incarico di governo», Sottolineano come «non abbiano nessuna attinenza con l’attuale impegno» nell’esecutivo di Schillaci (che «si tratta di titoli di scarso valore». Il “Domani” constata che quindi per il ministro della salute avere azioni di società che si occupano di farmaci non è “attinente” al suo incarico e 100mila euro sono una cifra esigua.

Il pacchetto di azioni più ricco è quello della Hepion Pharmaceutical: 10mila azioni per un valore totale di circa 70mila dollari. Società biofarmaceutica con una capitalizzazione di circa 30 milioni, la Hepion cerca una cura per le malattie del fegato, dalla cirrosi al cancro, per le quali «mezzo miliardo di persone è a rischio a meno che non vengano trovate nuove terapie», scrivono sul loro sito.

Altre 28mila azioni, con un valore di circa 0,9 dollari l’una, sono quelle della Athossa Theurapeutics. C’è poi la Moleculin Biotech (4mila azioni), azienda di Houston, seguono Celsion Corporation, la Inovio Pharmaceutical, la Navidea Biopharm, la Sos (solo 60 azioni per un valore di 4,5 dollari). C’è poi la Vyant Bio, che si occupa di medicina predittiva, che lo scorso aprile ha annunciato il suo ritiro dal listino Nasdaq.

Peccato, conclude il Domani, che nessuna sia italiana!

Ovviamente se avesse investito in aziende farmaceutiche italiane il conflitto di interesse sarebbe stato evidente.

Appare comunque evidente che le cifre investite per ogni singola azienda sono tali da non influire minimamente nei vari Consigli di Amministratori. Per esempio si può prendere Atossa Therapeutics in cui c’è il maggior investimento, cioè 28.000 azioni per un valore di 25.200 dollari. Su un valore azionario di 111 milioni di dollari è un valore trascurabile. Atossa ha un flottante di più del 99% i cui maggiori azionisti sono Heights Capital Management, Inc. con più di 9 milioni di azioni col 6,13% e The Vanguard Group, Inc. con più di 6 milioni col 4,50%. Un capitale di 25.200 $ rappresenta lo 0,027%, un nulla. È evidente lo scopo di puro investimento dove è buona regola differenziare. L’investimento è in America che offre maggiori garanzie dell’Italia ed è su aziende farmaceutiche, notoriamente anticicliche, che fanno ricerca e quindi con un potenziale di crescita. Per uno come Schillaci, evidentemente “benestante”, riteniamo che non possa costituire un conflitto di interessi.

Pensiamo che il conflitto di interesse non passi unicamente da una partecipazione azionaria (a meno che non rappresenti una quota importante).

Senza andare ai tempi di Poggiolini e De Lorenzo, ci viene in mente l’ex ministro della Salute nel Governo Berlusconi 4, Maurizio Sacconi, sposato con Enrica Giorgetti che, tra le altre cose era stata direttore dei rapporti istituzionali e della comunicazione di Autostrade S.p.A., ex direttore dell’Area strategica impresa e territorio di Confindustria e dal 2005 era ed è tutt’ora direttore generale di Farmindustria. La nomina di Sacconi a ministro della salute, riporta Wikipedia, è stata criticata all’estero dalla rivista Nature come un possibile conflitto di interessi, dato che questa è avvenuta mentre la moglie del neoministro ricopriva la carica di direttore di Farmindustria, l’associazione che promuove gli interessi delle industrie farmaceutiche. Ma in Italia la cosa passò quasi sotto silenzio.

E, sul piano delle opportunità, come dimenticare l’amicizia della ex ministra della salute, Lorenzin, con il presidente di Farmindustria, Scaccabarozzi o i rapporti di Renzi, quando era presidente del Consiglio, con Farmindustria e gli Aleotti in particolare. Niente di illegale, solo questione di opportunità.

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Redazione Fedaisf

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