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Crisi degli oppioidi negli Stati Uniti. Il ruolo del marketing

Solo pochi giorni fa parlavamo delle miniserie televisiva intitolata ”Painkiller” che affrontava la vicenda dell’azienda farmaceutica Purdue pharma e della crisi degli oppiodi che ha provocato.

Oggi ci ritorniamo prendendo spunto da un articolo di Pharmastar dal titolo “Painkiller, la vera storia dell’epidemia Usa da abuso di oppioidi” alla cui lettura integrale rimandiamo.

La serie televisiva indaga le origini e le conseguenze della crisi degli oppioidi in Usa ed è costruita su quattro livelli di narrazione che si incrociano, mostrando vari aspetti di questo pesante problema e facendo chiarezza su quanto realmente accaduto.

Pubblichiamo alcuni stralci dell’articolo.

Il primo livello di narrazione si fonda sull’indagine governativa, partita da un team di avvocati americani, sugli abusi commessi nella prescrizione di oppioidi. Il secondo livello è la storia di un artigiano che dopo un brutto incidente sul lavoro e un intervento chirurgico alquanto complicato, inizia ad accusare dolore cronico e per lenirlo entra nel tunnel della dipendenza da oppioidi, in particolare di questo oppioide prodotto dalla Purdue arrivando ad assumerlo a dosaggi molto elevati e non sicuri.

Il terzo livello è la storia della famiglia Sackler che per avidità trasforma un vecchio farmaco di sua produzione, in qualcosa di molto più potente e soprattutto spinge i medici a prescriverlo ad alti dosaggi che creano non solo dipendenza ma conseguenze pesanti, fino alla morte. L’ultimo livello, che si incrocia con tutti gli altri, è la storia di chi promuove il farmaco utilizzando tecniche di marketing aggressive e spregiudicate.

Come è stato promosso il farmaco
La spregiudicata casa farmaceutica nel momento d’oro di diffusione del farmaco ha reclutato un esercito di informatori farmaceutici giovani e attraenti per fare pressione sui medici affinché lo prescrivano; anzi, affinché i medici prescrivessero più milligrammi, indipendentemente dalla condizione clinica.
Oltre che fare pressioni sui medici di famiglia e i farmacisti, la casa farmaceutica fece sì che le organizzazioni mediche ufficiali diffondessero messaggi che magnificavano l’efficacia del farmaco sottovalutando i rischi di creare una forte dipendenza.

Entrato sul mercato nel 1996, il farmaco è passato nel giro di 4 anni da 48 milioni di dollari di vendite a 1.1 miliardi di dollari.
Purdue Pharma conosceva benissimo i rischi di dipendenza ma ne trasse vantaggio, promuovendolo ampiamente. Molte persone divennero dipendenti, spingendolo a diventare uno dei farmaci più abusati negli USA.

Nel 2001, Purdue ha speso circa 200 milioni di dollari per pubblicizzare il farmaco e nel 2017 l’azienda aveva raggiunto un patrimonio netto di 13 miliardi di dollari.
Questa storia è purtroppo un esempio eclatante di mala sanità, di egoismo ed egocentrismo ma anche di grande scelleratezza. Le persone decedute non torneranno più a casa loro e le famiglie distrutte non riusciranno mai a vivere come prima.

La situazione italiana
E’ bene però chiarire che gli oppioidi costituiscono una classe di farmaci molto potente ed efficace nel trattamento del dolore cronico e che in diverse patologie, non solo oncologiche, sono fondamentali per garantire una buona qualità di vita ai pazienti, liberandoli dal dolore. Per loro natura, tuttavia, possono creare dipendenza e ciò è anche in relazione alla modalità di utilizzo che ne viene fatta. Vanno quindi prescritti dal medico, di famiglia o specialista, che conosce sia il paziente sia il farmaco e che identificherà la dose adatta alla tipologia di dolore e deciderà anche i tempi di utilizzo

In Italia gli oppiacei sono sempre stati usati poco e anche per brevi periodi visto che il 50% dei pazienti li assume per meno di due settimane all’anno e per brevi periodi contro i 45 giorni dei FANS (rapporto Osmed 2021). Nel nostro Paese questi farmaci hanno iniziato ad essere utilizzati un po’ di più solo dopo la legge 38 del 2010 che ne ha reso più facile la prescrizione. Secondo il rapporto Osmed nel 2021 gli oppiacei hanno fatto registrare in Italia un consumo di 7,7 dosi giornaliere (ddd, Defined Daily Dose) per 1000 abitanti rimanendo stabili rispetto all’anno precedente. Altri Paesi europei, dove non si verificano fenomeni di abuso o dipendenza, come Germania e Austria, si attestano intorno alle 20 ddd.

Nel sistema del nostro Paese, a volte accusato di essere troppo “burocraticizzato”, i farmaci sono attentamente controllati, dalla loro produzione fino alla loro messa in commercio e anche dopo, e ogni passaggio ha regole ben precise, a cominciare da quelle che regolano l’informazione medico scientifica.

Conclude la nota di Pharmastar – Alla luce di quanto è successo, gli Usa a nostro parere dovrebbero fare un grosso esame di coscienza per fare in modo che quello farmaceutico, da cui è bene sottolinearlo derivano la maggior parte delle innovazioni scientifiche che stanno cambiando il mondo della medicina, sia un po’ meno business e un po’ di più servizio per la salute dei cittadini.

Non possiamo non sottolineare il caso Italia con le sue regole e leggi sull’informazione scientifica dei farmaci che molti vorrebbero cambiare considerandole un ostacolo al marketing. In Italia il D.Lgs. 219/06  pone l’informazione scientifica del farmaco alle dipendenze di un Sevizio Scientifico aziendale che deve essere indipendente dal marketing. L’invadenza del marketing, che conta sull’assoluta mancanza di controlli, è sotto gli occhi di tutti.

Negli Stati Uniti la vicenda Purdue è emersa grazie alla crisi di coscienza di una informatrice farmaceutica (ci risulta difficile definirla scientifica perché là sono venditori). In Italia proprio per una maggiore tutela della salute dei cittadini sarebbe necessario anche un riconoscimento giuridico della figura dell’informatore scientifico del farmaco.

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Redazione Fedaisf

Promuovere la coesione e l’unione di tutti gli associati per consentire una visione univoca ed omogenea dei problemi professionali inerenti l’attività di informatori scientifici del farmaco.

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