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Uso compassionevole dei farmaci in Italia: luci e ombre di una prassi più diffusa di quanto si pensi

Le richieste di uso compassionevole sono eccessive? Necessaria una revisione etica a livello nazionale? Una riflessione a partire dal caso clinico di una rara patologia oncologica

Autore: Ilaria Vacca e Francesco Fuggetta . OMAR

L’uso compassionevole, noto anche come accesso ampliato, è l’uso terapeutico di farmaci sperimentali al di fuori degli studi clinici. Secondo la definizione dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), è “un’opzione di trattamento che consente l’uso di un medicinale non autorizzato in fase di sviluppo”. Diciotto Stati europei su ventotto (il 64%) hanno regolamenti e procedure nazionali ben definite per l’uso compassionevole dei farmaci.

LA NORMATIVA IN ITALIA

Nel nostro Paese, l’uso compassionevole è regolato dal decreto ministeriale del 7 settembre 2017 “Disciplina dell’uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica”, il cosiddetto “uso compassionevole”.

Il decreto prevede dunque la possibilità di usare a scopo terapeutico medicinali non ancora autorizzati, sottoposti a sperimentazione clinica e prodotti in stabilimenti farmaceutici o importati  secondo le modalità autorizzative e i requisiti previsti dalla normativa vigente; medicinali provvisti dell’autorizzazione all’immissione in commercio, ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 2, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 per indicazioni diverse da quelle autorizzate; medicinali autorizzati ma non ancora disponibili sul territorio nazionale.

In estrema sintesi l’uso dei medicinali in oggetto può essere richiesto dal medico curante per il trattamento di pazienti affetti da patologie gravi, malattie rare, tumori rari o in condizioni di malattia che li pongano in pericolo di vita, per i quali non siano disponibili valide alternative terapeutiche o che non possano essere inclusi in una sperimentazione clinica o, ai fini della continuità terapeutica, per pazienti già trattati con beneficio clinico nell’ambito di una sperimentazione clinica conclusa.

La legge prevede tutta una serie di condizioni che i farmaci devono rispettare per essere ammessi a questo tipo di utilizzo (esistenza di studi clinici sperimentali, esistenza e disponibilità di dati pubblici sulle stesse, certificazione di produzione, etc). Secondo l’articolo 4 del DM la richiesta dev’essere previamente sottoposta al parere del comitato etico competente, che è tenuto a trasmettere il proprio parere direttamente ad AIFA (l’agenzia italiana del farmaco).

L’Italia è uno dei pochi paesi, insieme a Spagna e Stati Uniti, in cui per legge è necessaria l’approvazione del comitato etico per l’autorizzazione dell’uso compassionevole (per saperne di più leggi qui). Il ruolo del comitato etico in questo processo di richiesta e autorizzazione (o negata autorizzazione) è fondamentale, proprio per l’intrinseca complessità legata alla richiesta di interventi in contesti di estrema fragilità, caratterizzati dall’assenza di un quadro di riferimento basato sull’evidenza clinica.

IL CASO DI REGGIO EMILIA

Un episodio emblematico è quello appena descritto sulla rivista BMC Medical Ethics dai ricercatori dell’AUSL di Reggio Emilia Ludovica De Panfilis, Roberto Satolli e Massimo Costantini. L’episodio riguarda la richiesta dell’uso terapeutico del farmaco avelumab per il trattamento di un paziente affetto da carcinoma a cellule di Merkel, che al momento della richiesta si trovava in buone condizioni, ma con una malattia progressiva per la quale non esistevano alternative terapeutiche.

Il farmaco, oggi approvato in Italia, seppur collocato in classe Cnn (classe non negoziata), risultava allora a tutti gli effetti un farmaco sperimentale e le richieste si basavano sui dati di una sperimentazione clinica di Fase II per i quali all’epoca della richiesta non esisteva una pubblicazione scientifica peer reviewed, ma solo un abstract presentato al congresso dell’American Society of Clinical Oncology.

La richiesta di approvvigionamento del farmaco fu in prima battuta avanzata dall’oncologo curante alla farmacia ospedaliera, che rifiutò la richiesta in quanto non conforme all’allora normativa vigente (DM 8/5/2003) e successivamente rifiutata anche da AIFA con un parere espresso ufficialmente.

Nonostante questi pareri, il direttore del reparto di Oncologia richiese che il caso fosse presentato e discusso con il comitato etico per l’uso compassionevole. A questo punto, il comitato convocò in un incontro ufficiale l’oncologo proponente, per valutare non solo gli aspetti normativi, ma anche le diverse perplessità cliniche ed etiche in merito all’approvazione.

Il caso di studio si è basato sull’analisi della registrazione audio della riunione del comitato etico. La discussione sugli argomenti emersi durante l’incontro è stata approfondita con la realizzazione di cinque interviste semi-strutturate con due clinici coinvolti nel caso (il medico proponente e il medico palliativista) e con tre componenti del comitato etico che avevano svolto un ruolo importante nella discussione interna.

RICHIESTE TROPPO NUMEROSE E SCARSE EVIDENZE CLINICHE

Il comitato etico osservò un elevato numero di richieste di uso compassionevole: ben 86 nel periodo 2015-2016, in una popolazione di riferimento, quella della provincia di Reggio Emilia, di 533.827 persone. Tutte queste richieste furono approvate, nonostante alcune di queste fossero state considerate fonte di criticità. Inoltre, il loro elevato numero risultò condiviso con altri comitati etici italiani: quello dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – Policlinico S. Orsola-Malpighi, secondo un’analisi retrospettiva, nel periodo 2010-2015 ne ha ricevuto 610 per una popolazione di riferimento di 873.471 persone.

Durante l’incontro venne alla luce che per quel farmaco non esisteva (allora) alcuna efficacia documentata, né garanzie di sicurezza. Oltre alle prove cliniche, emersero anche problemi contestuali che il comitato etico decise di esaminare nel dettaglio. In particolare, l’oncologo proponente riferì che il paziente era già a conoscenza sia della possibilità di assumere il farmaco che della relativa richiesta al comitato etico. L’oncologo aveva spiegato al paziente che era possibile un trattamento sperimentale: gliel’aveva presentato come “l’unica opzione” e gli aveva riferito che l’unico modo per avere accesso al trattamento era l’approvazione del comitato etico.

Al momento della riunione, il paziente era in attesa di una risposta e questa condizione cambiò inevitabilmente i parametri di opinione. La discussione si incentrò quindi su alcune questioni centrali: i principi etici in gioco e il loro equilibrio; la ricerca di una soluzione che rispettasse non solo gli interessi clinici, ma anche quelli morali coinvolti; e infine la necessità di definire delle buone pratiche in relazione alla domanda di farmaci per uso compassionevole.

In particolare, il dilemma etico può essere sintetizzato come segue: è giusto autorizzare un farmaco con la sola motivazione di non negare la speranza ad un paziente che sta aspettando un’approvazione dal comitato etico, o è più corretto proteggerlo dalla somministrazione irresponsabile di un farmaco la cui efficacia non è stata dimostrata, alimentando al tempo stesso false speranze?

Ricordiamo che il Comitato Nazionale di Bioetica si è espresso sul tema “uso compassionevole” nel 2015, in seguito a ciò che comunemente identifichiamo come “caso Stamina”, con un documento estremamente complesso e ricco che ribadisce più e più volte il necessario carattere di eccezionalità delle procedure di autorizzazione di cure compassionevoli, auspicandone un cambio di denominazione in “terapie non validate”, proprio per evitare che la denominazione “compassionevole” risulti fuorviante.

LA DECISIONE DEL COMITATO ETICO

Dopo la consulenza dello specialista in cure palliative, che confermò la consapevolezza del paziente e la sua volontà di procedere con un ulteriore tentativo terapeutico, la richiesta fu approvata e il farmaco gli fu somministrato regolarmente.

Come riportato da uno dei componenti del comitato etico durante l’approfondita intervista, “la richiesta, ai sensi di legge, era inammissibile, ma dopo aver consultato lo specialista in cure palliative, il quale garantiva che il paziente era già al corrente di questa possibilità, se avessimo rifiutato la richiesta avremmo causato un danno ovvio, certo e reale al paziente, a fronte di un danno clinico meno ovvio, relativo all’eventuale nocività del farmaco”. Nel primo caso, il danno sarebbe stato principalmente emotivo e morale; nella seconda ipotesi, potenzialmente clinico.

UNA RIFLESSIONE ETICA E DEONTOLOGICA

Questo interessante lavoro di revisione etica svolto dalla AUSL di Reggio Emilia ci pone di fronte a innumerevoli interrogativi di natura squisitamente etica ma anche deontologica e medica. Una revisione etica indipendente riguardante l’uso compassionevole dei farmaci potrebbe dunque essere auspicabile a livello nazionale?

L’uso compassionevole dei farmaci oggi, in epoca di progresso scientifico e sperimentazione continua, può implicare aspetti importanti di ricerca. Inoltre questo tipo di pratica si basa sull’uso di farmaci che spesso non presentano dati di efficacia e sicurezza così evidenti, richiedendo quindi un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio e rendendo particolarmente difficile ottenere un vero consenso informato da parte dei pazienti.

La drammaticità di alcune gravi patologie per cui non sono disponibili terapie già approvate pone spesso i soggetti coinvolti nel processo decisionale e autorizzativo (pazienti, istituzioni, medici) in situazioni di tensione, a volta di reciproca contrapposizione di diritti, doveri, speranze e aspettative di ciascuno.

Pertanto la proposta dei ricercatori emiliani prevede la realizzazione di protocolli quanto più possibile standardizzati per ciò che riguarda la raccolta delle prove di sicurezza ed efficacia dei farmaci non ancora approvati e i moduli di consenso informato, fermo restando che il consenso informato non può essere ridotto a un modulo ma è di fatto considerabile un aspetto della relazione di cura e fiducia tra medico e paziente (Legge 219 del 2017). La proposta prevede però anche la realizzazione di un protocollo per le giustificazioni mediche all’uso di un farmaco non ancora approvato e anche per raccogliere e valutare le qualifiche del medico richiedente, ivi compresa una formazione di tipo etico e bioetico del clinico stesso.

Redazione Fedaisf

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