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Vale 310 mln di euro l’anno l’export di farmaci verso Russia e Ucraina

Farmaci, 310 mln euro l’anno l’export verso Russia e Ucraina

Fortune Health – 24 febbraio 2022

Vale oltre 310 milioni di euro l’anno l’export di prodotti farmaceutici dall’Italia verso Russia e Ucraina.

A sottolinearlo è il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, mentre si combatte a Chernobyl.  Il conflitto e le sanzioni dell’Ue rischiano di compromettere anche le forniture di farmaci nei Paesi coinvolti. E a risentire, ancora una volta, rischia di essere la popolazione.

“Esprimo, insieme alle imprese del farmaco in Italia, forte preoccupazione per l’intensificarsi del conflitto armato in Ucraina. Con Efpia (Federazione europea delle industrie e associazioni farmaceutiche) confermiamo la volontà di garantire che i pazienti delle nazioni coinvolte nella crisi continuino ad avere accesso ai farmaci di cui hanno bisogno”.

Russia e Ucraina “sono importanti anche per l’export di tutta la filiera. Condividiamo e sosteniamo quindi l’appello di Efpia alle parti coinvolte di escludere dall’ambito delle sanzioni l’intera filiera del farmaco, dai medicinali ai principi attivi farmaceutici, da qualsiasi altro bene intermedio per la produzione di diagnostici, trattamenti e vaccini, ai macchinari e al packaging”.

Da Farmindustria arriva inoltre la garanzia del massimo impegno “a lavorare per limitare l’impatto del conflitto sulla fornitura di medicinali e sulle sperimentazioni cliniche necessarie ai pazienti nelle zone” coinvolte.

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La guerra informatica. A rischio anche l’Italia

Già nei giorni scorsi l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) via Csirt ha segnalato che la crisi in Ucraina aumenta “i rischi cibernetici ai quali sono esposte le imprese italiane che intrattengono rapporti con operatori situati in territorio ucraino, derivanti da possibili danni a obiettivi digitali di quel Paese”, con varie raccomandazioni.

“Risulta essere stato distribuito un malware di tipo “wiper” – denominato HermeticWiper (alias KillDisk.NCV) – le cui peculiarità consistono nel distruggere intenzionalmente i dati presenti su un dispositivo al fine di renderli
irrecuperabili, minando il corretto funzionamento del sistema operativo in esecuzione”.

Anche se molte discussioni sono ancora in corso sulla efficacia della hybrid war e quindi sulla convenienza per uno stato di sostituire attacchi di classe hybrid war a quelli di una guerra tradizionale, indubbi sono i danni che un attacco cyber ben progettato può provocare. Ad esempio, la Merck una ditta farmaceutica, ha appena vinto una causa legale contro la sua assicurazione che dovrà pagare circa 1.4 miliardi di dollari di danni relativi alle conseguenze dell’attacco informatico NotPetya del 2017 che la Russia aveva attuato contro l’Ucraina ma che si è diffuso rapidamente fino a chiudere i sistemi informatici di centinaia di aziende in tutto il mondo. La compagnia assicurativa non considerava il cyber attacco come atto di guerra e quindi era escluso dall’assicurazione.

L’Agenzia spinge quindi a adottare ora con urgenza le raccomandazioni già diramate nei giorni scorsi. E ha pubblicato nuovi IOC (indicatori di compromissione).

L’allarme in Italia e in Occidente è fondato perché in passato lo scontro tra Russia e Ucraina ha partorito NotPetya, che ha causato miliardi di dollari di danni nel mondo diffondendosi da computer e reti ucraine a quelle di loro partner e clienti occidentali.

Almeno ora l’Occidente – le nostre aziende, pubbliche amministrazioni – dovrebbe essere più preparato. Si spera.

Fonte Cybersecurity 360

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Redazione Fedaisf

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